Salvare

«Anche tu vuoi sempre salvare gli altri?»

«Sì, ma senza riuscirci mai.»

«E meno male.»

«Perché?»

«Perché altrimenti ci convinciamo di essere noi quelli che li salvano.»

Avevo scritto un post abbastanza lungo, qualche giorno prima della fine di dicembre scorso. Un elenco di cose che penso di aver imparato nell’anno appena trascorso, appuntate sul momento, le prime che mi venivano in mente. Poi sono state giornate un po’ piene – quest’anno a Capodanno ho lavorato, e sono una delle poche persone che conosco ad essere contenta di lavorare il 31 dicembre -, non avevo tempo di pubblicarlo, poi è arrivato l’anno nuovo e così siamo a febbraio. Di già.

E fra tutto quello che ho pensato mi è tornato in mente questo dialogo, che avevo tenuto custodito tra le pieghe di queste pagine senza svelarlo mai, perché secondo me esprime una grande verità, e aspettavo il momento giusto per parlarne. Il giorno in cui questo dialogo è avvenuto risale ormai a due anni fa, come sono quasi due anni che ho tra le mani qualcosa di così prezioso che a volte mi spaventa persino.

Quel dialogo mi piace perché racconta una parte di me, quella che vuole salvare gli altri, che pensa di poter avere il controllo delle situazioni – pure quelle degli altri -, che vuole dare una mano pure quando nessuno gliel’ha chiesta, perché pensa di poter migliorare la situazione, sempre. E la risposta che ho avuto mi ha lasciata così, senza parole, perché è così disarmante e vera che può essere stata detta solo da qualcuno che mi è simile come non pensavo.

Ma ultimamente mi piace anche perché vuol dire che le uniche persone che possiamo salvare siamo noi stessi, e spesso non ci riesce nemmeno tanto bene. E mi sa che questa è una delle cose importanti che ho imparato durante l’anno che si è appena chiuso, e adesso sta a me capire cosa farmene di questa consapevolezza.

E, infine, mi piace perché è una delle cose che fa capire, ogni giorno di più, che persona meravigliosa ho incontrato su quell’autobus tanto tempo fa.

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