Verso la laurea e oltre

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(via Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco)

Il 21 di questo mese discuterò la mia tesi di laurea in Critica letteraria e letterature comparate, dal titolo L’Età della lettura e la questione del Lettore Modello. Dopodiché sarò ufficialmente dottoressa e disoccupata, e potrò finalmente abbandonarmi anch’io alle vacanze e all’horror vacui. Gioite con me!

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Altalene

Seduta davanti al computer, dove finalmente sta prendendo forma la mia tesi, ascolto musica anni Ottanta in cuffie enormi e viola, fuori il sole tramonta dopo aver riscaldato la giornata e a me viene voglia di ballare forte.

Loving would be easy if your colors were like my dream

Oscillo tra immersioni e trasvoli, tra ombra e luce, come su una lunghissima altalena, ma non ho dubbi sul fatto che sia tutto da fare, tutto da esperire, e che a ogni regressione può seguire un avanzamento, nessuno può impedirmelo tranne me stessa.

Why won’t you ever know that I’m in love with you?

Non voglio evadere dal mio corpo e dalla mia mente, non più, la mia vita non è una gabbia e io non sono prigioniera.

Ooh heaven is a place on earth

Ho paura, ma non abbastanza da rimanere ferma.

When you go you’re gone forever

Ottobre, 9

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Il giorno in cui ho superato –  e molto meglio di quanto sperassi – il mio ultimo esame – non di quest’anno, ma dell’intero corso, e spero anche dell’intera mia carriera universitaria – ho inviato un sms a una cara amica che non vedevo da tempo, la stessa con cui ho brindato la sera del mio ultimo esame di triennale, la quale mi ha dato precise indicazioni: bevi; e poi canticchia tra te e te: “che sensazione di leggera follia…”. Ho convenuto che in effetti non la si poteva contraddire.

Ho iniziato con il secondo punto, ma al primo non ci sono arrivata, non subito: quella sera sono rimasta spalmata sul divano di casa di Prince, vale a dire l’uomo che mi sopporta da più di un anno a questa parte, a guardare la tv e ad addormentarmi sulla sua spalla.

La bevuta di rito si è avuta la sera successiva, sempre con la cara amica, che è ormai ufficialmente colei che mi offre la birra quando finisco gli esami (e ora, ripeto, spero basti). Una bella serata di ottobre, fatta apposta per festeggiare – per rivedersi con la scusa di festeggiare, e per scherzare e per raccontarsi, e che poi diventa piena di discorsi su cose importanti, tipo le prospettive, tipo il futuro, tipo le relazioni, le situazioni difficili, le sofferenze provocate senza volerlo, l’amore che si da come si può, la rabbia, gli errori, le idee che si cambiano, e quelle che non si cambiano. Queste cose umane, queste cose – mi viene da dire- un po’ da grandi.

Queste cose che non ti aspetteresti di affrontare la sera che sei seduta su un gradino nel rione Monti a celebrare, come un rito, la fine degli esami, e che dovrebbe essere spensierata, leggera, e tutta tua; ma poi ci pensi e invece è proprio la sera giusta, perché la fine degli esami – di questi esami – è soltanto l’inizio di qualcos’altro – qualcosa, mi viene da dire, un po’ da grandi. E se quella sera di tre anni fa, quella passata sempre seduta su un gradino, ma da un’altra parte di Roma, a San Giovanni, sotto casa di cara-amica, perché andare più lontano era impossibile per la stanchezza appesa addosso come un panno bagnato, se quella sera è stata sì spensierata, leggera, mia, forse è perché  il futuro sembrava ancora lontano, e così i discorsi seri, le prospettive, e persino gli altri, l’altro da me, che invece ora è così vicino, pare. Forse stiamo (sto) diventando (un po’?)  grande.

Intanto, mi segno questa data (noveottobreduemilaquattrodici), e il prossimo obiettivo è la tesi, e per non smentirmi mai sono indietro in modo pauroso (giusto per dimostrare a me stessa che, tutto sommato, dovrei ancora lavorarci su questa faccenda del diventare grande). Credo di essere stanca, e nonostante questa volta mi sia scelta sia il relatore che volevo da sempre, sia l’argomento, ci sono momenti in cui pregherei di allontanare da me questo amaro calice e lasciarmi laureare in santa pace con una tesi sulle merendine. Ma pare non si possa, quindi mi faccio forza pensando che se sono riuscita a superare un esame di latino con il massimo dei voti ora posso tutto, anche scrivere una tesi, che per di più mi piace, senza averne la minima voglia e a tempo record!

Spero.

[Per fortuna c’è una spalla su cui posso riposarmi.]

L’ultimo degli esami

Emergo dai libri per dire solo una cosa: tornare a studiare latino a 25 anni, dopo dieci anni di oblio, è qualcosa di terrificante.

Terrificante.

Però è uno sforzo che sottolinea adeguatamente l’importanza dell’evento: questo è il mio ultimo esame, l’ultimo in assoluto della mia carriera universitaria. Dopo di questo, solo la tesi mi separerà dalla mia laurea magistrale. Dopo di questo, ci sarà finalmente la FINE: la mia vita universitaria sarà terminata.

Dopo di questo, potrò finalmente trascorrere in pace mesi e mesi a cercare lavoro e a godermi la dolce sensazione di non aver più lezioni a cui arrivare in ritardo (e per le quali farsi tenere il posto dalle amiche), esami che incombono sulla mia testa con date con cui si può giocare a tetris e pomeriggi passati a fotocopiare illegalmente libri della biblioteca, pranzi a base di pizza sull’erba della città universitaria e viaggi estenuanti fuori e dentro Roma, collezioni – e collazioni – di generosi appunti altrui e trepidanti attese fuori dagli studi dei professori (quando ci si sente davvero tutti sulla stessa barca), collassi dovuti alla kafkiana burocrazia delle segreterie e conversazioni che non sai bene se l’ansia te l’hanno fatta venire o te l’hanno fatta passare, entusiasmi da prime lezioni, soprattutto di quei corsi che sulla carta sembravano una schifezza, e invece! (quegli stessi entusiasmi che scompaiono magicamente quando si avvicinano la date dell’appello e si è convinti che si studierebbe volentieri qualsiasi cosa, ma non quella), serate accampati in casa d’altri senza sentirsi di troppo e uscite sempre con pochi soldi in tasca, alla ricerca della mostra gratuita o del biglietto scontato, incontri piacevolmente imprevisti e pianti cui solo un bacio può dare sollievo, nottate passate a decifrare la prosa dell’eminente studioso di turno e a cercare di arrivare, finalmente, alla fine del maledetto capitolo, soli, mentre fuori tutto tace, e l’unica domanda che emerge dal fondo della stanchezza, potentemente, è: ma a me, ma chi cazzo me l’ha fatto fare?

E da lì al chi sono, da dove vengo, dove vado ma soprattutto, io, cosa mai voglio fare della mia vita? il passo è breve, anzi, brevissimo.

Insomma, sarà la fine di tutto questo. Fantastico, no? 

…No?

 

Stagista perché

C’è sempre quella manciata di cfu (crediti formativi universitari, o anche: la morte) che ti manca per completare il quadro del fottuto pds (piano di studi, o anche: l’INFERNO) e che non sai mai come dovrebbero essere coperti. Ti piazzano lì quei 2, 4, 6   – la cifra cambia di corso in corso – di aaf (altre attività formative, o anche: maccheccazz…?) e nessuno che ti sappia dire cosa mai dovrebbero significare, cosa dovresti fare, ma soprattutto perché. Quest’anno i 6 crediti che mancano sono classificati come “avviamento al mondo del lavoro”, il che significa che se vuoi laurearti sarebbe bene che andassi a cercarti uno stage o tirocinio rigorosamente non retribuito che copra almeno 150 ore di attività, letto, sottoscritto e approvato dalla facoltà. L’alternativa è seguire uno o più laboratori universitari (il numero dipende dal valore in crediti sonanti), di quelli a numero chiuso perché se siamo in più di dieci giustamente non è un laboratorio di esercitazioni ma un corso come tutti gli altri.

Quest’anno io mi sono mossa per tempo. Era solo ottobre quando mi sono messa in moto per capire dove raccattare questi pochi, maledetti (ma non certo subito) crediti. Potevo scegliere tra due alternative, entrambe con lati positivi e negativi: lo stage è obiettivamente più interessante, fa curriculum e soprattutto consente di uscire finalmente fuori dalle aule e fare un po’ di esperienza, ma trovarne uno è uno sbattimento senza pari (non sembra, ma oggi le aziende non ti vogliono neanche gratis, soprattutto le case editrici), fa perdere un sacco di tempo, è potenzialmente un peso che rallenta l’università e manco ti pagano. Il laboratorio è più comodo (ammesso che si riesca a iscriversi in tempo), basta andare in facoltà come al solito e scrivere qualche relazione, e alla fine non fa neanche media… però ci sono dei contro che possono essere riassunti in un’espressione breve ed efficace: e che palle. Insomma, bisognava fare una scelta. E io ovviamente ho scelto….

Entrambi. Dopo aver passato due mesi a mandare curricola, ho iniziato prima di Natale uno stage in una casa editrice romana, mentre al secondo semestre seguirò il laboratorio del mio relatore (il motivo per cui lo seguo, come avrete capito, è racchiuso nella parola relatore.)

La casa editrice è questa qui. Pubblica una rivista culturale e letteraria, Storie, ma ormai lavora prevalentemente online, tra il sito e Facebook. Tempo fa seguii un loro corso di scrittura a distanza, e non andò male. E anche ora la mia occupazione è scrivere, cosa che non mi dispiace. Insomma, tutto questo per dire due cose:

1. ma perché  mi complico la vita?

2. Questi sono i post del mio sacco: se vi piacciono (o almeno se non vi fanno proprio schifo schifo) laiccate. Poi se volete laiccate anche la pagina Facebook di Storie, ma soprattutto condividete, condividete, condividete. O anche no; del resto, se avete dubbi sul valore di una che scrive “laiccate”, non posso che darvi ragione.

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Jules Verne: un manoscritto inedito ritrovato a Nantes

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Kurt Vonnegut: da dove prendo le idee? Dal disgusto per la civiltà.