Cose che (non) sto facendo – quarta ed ultima puntata

Nella scorsa puntata vi ho raccontato del mese di latitanza dal blog passato a tentare di animare un centinaio di bimbi e ragazzi – e di rianimare me stessa, c’è da dirlo, dopo essere tornata a casa, la sera. Un mese, dicevo, senza contare le settimane di preparazione e organizzazione durante e dopo le quali, tra le altre cose, ho avuto anche il compito di ordinare le magliette a tema per animatori e bambini e farmele arrivare da Bergamo (so’ efficienti, i bergamaschi, vi elargisco questa perla di originalità. La ragazza del magazzino con cui parlavo al telefono era così contenta che fosse l’ultimo di tre  – o quattro? –  ordini che nel pacco ha allegato un segnalibro in regalo, per non parlare del tizio del corriere che ormai poteva trovarci ad occhi chiusi).

Ebbene, penserete che dopo un mese di balli scemi e giochi sotto il sole costatimi un’abbronzatura a forma di occhiali sul viso io mi sia riposata.

Sbagliato.

Ho pensato bene di partire per la montagna per quattro giorni come animatrice di un ristretto gruppo di tredicenni di belle speranze, armati di valigie più grandi delle mie e di scorte di Nutella e patatine in quantità che non vedevo dai tempi delle gite a scuola. Lo scopo era di sperimentare un campo estivo al di fuori delle famiglie e del paesello rivolto a ragazzi e ragazze di quell’età strana a metà tra l’infanzia e l’adolescenza, per vedere l’effetto che fa.

E vi dirò, l’effetto pare averlo fatto. Sono creature strane, i tredicenni; capaci di passare dalle sigle dei cartoni animati a Belen nel giro di pochi secondi, di ridurre la camera da letto in un luogo dove sembra siano esplose tre valigie, di litigare ferocemente per un pacchetto di cipster, di tornare a casa con i vestiti buttati in un sacco di plastica, di continuare ostinatamente a giocare nonostante la stanchezza per poi crollare nel sonno abbandonando ogni proposito di scherzo notturno – al quale, peraltro, non avevamo mai creduto -, di mettersi in gioco, di abbandonarsi, di nascondere sogni smisurati, e problemi altrettanto smisurati, di odiarsi e amarsi, canzonarsi e aiutarsi allo stesso tempo, di dire parole inaspettate, di dimostrare attenzione e gentilezza sincere, così insolite negli adulti.

In tutto questo relazionarmi con persone così diverse da me, insomma, mi sono allenata ad andare oltre i miei limiti, mentali e fisici. Cercando di insegnare, ho imparato. E per farlo ho dovuto dormire cinque ore a notte, sorbirmi La sveglia birichina al mattino – e per fortuna che io ero già sveglia quando era il momento di farla partire, non mi sorprende che la odiassero -, spalmare creme solari e doposole a destra e a manca, e, soprattutto, scalare una montagna.

Ebbene sì, la sottoscritta è arrivata ai duemiladuecentoefischia metri della vetta del Terminillo, la “Montagna di Roma” che in realtà, invece, è di Rieti – e becca. Un’esperienza, come dire… che riempie. Sei lassù, ti fanno male le gambe, il sole è accecante se appena alzi lo sguardo, sei circondata solo di rocce e vento e allora respiri e guardi, guardi, giri lentamente sul posto e puoi vedere tutto, puoi vedere quasi il mare e intorno a te niente, solo rocce e vento e silenzio. Per arrivare a questa meraviglia non c’è un sentiero semplice: l’ultimo tratto, quello tra il rifugio più vicino e la vetta vera e propria, è un continuo saliscendi di spuntoni di roccia quasi a precipizio sulla parete della montagna. È lì che nasce buona parte del dolore alle gambe che si farà sentire in discesa: l’attenzione nel mettere il piede nel posto giusto, nel tentare di non scivolare, di non sbilanciarsi – e lo sbalordimento nel vedere quelli che volteggiano disinvolti sul precipizio, quasi senza guardare, o almeno così sembra, dove stanno camminando. Chiaramente parlo della guida alpina e del Don bergamasco, per la cronaca.

Ma poi arrivi, e questa è la vista da lassù.

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E poi sono tornata a casa, con un po’ d’abbronzatura e una bella tosse secca dovuta presumibilmente al fatto che avevo calcolato male lo sbalzo termico notturno e la felpa pesante è rimasta a casa. Il bello è che da quando sono tornata la tosse non accenna a sparire, anzi pare autoalimentarsi. Insomma sono arrivata al punto di tirare fuori l’aerosol dai meandri della mia infanzia e di assumere antibiotici, antistaminici e cortisoni vari come se piovesse. Ad agosto. Se dovessi partire in questo momento per un’ipotetica vacanza – che comunque non ci sarà – dovrei portarmi dietro sette e dico sette scatole di medicinali, oltre alla macchinetta per l’aerosol, si capisce. Neanche la mia ottantenne nonnina prende tutta ‘sta roba. Dovrò munirmi anch’io di un portapillole? Fra l’altro sto prendendo un farmaco che tra i possibili effetti collaterali elenca tosse. Ottimo, direi.

Ma a parte questo. Sono tornata, dicevo, dopodiché sono ripartita, questa volta alla volta (passatemela, è l’una e mezza) di Assisi: ritiro per gli animatori, finalmente. Tre giorni di caldo afoso e opprimente e di mangiate luculliane, di stradine medievali e torri umane (la nostra, sbilenca e a rischio slogamento caviglia per il povero pinnacolo), di “ecco la fontanella!” e, incredibilmente, di “ma voi avete l’autorizzazione per spiegare? Se non siete una guida autorizzata non potete parlare”  – frase rivolta da un non meglio precisato custode di una chiesa al Don che ci stava mostrando degli affreschi del Duecento, che a quanto ne so dovrebbero essere ancora patrimonio della collettività e non delle guide turistiche.

E poi sono tornata anche da lì. Sempre con la tosse.

E poi basta, eh, ho finito di andare in giro.

E la finisco così, brusca, perché l’antistaminico sta facendo effetto e ho sonno.

Ma attenzione, la fiction estiva di Castelli in Aria potrebbe riservarvi nuove, incredibili sorprese. Stay tuned – o anche: a recchie ritte!

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1994-2011: sic transit gloria mundi

Eh sì, bisogna proprio che ne parli. Due parole le devo dire, vincendo questo pigro silenzio.

Devo cerchiare sul calendario virtuale queste date, non posso proprio farle passare come se nulla fosse.

Lo scorso sabato sera non ero a casa mia, ma a casa di un’amica per una rimpatriata. Ho aperto il Novello e ho aspettato di veder scorrere la notizia “Berlusconi si è dimesso”, finalmente. Ho pensato che nel 1994 avevo cinque anni e che chiaramente all’epoca non avevo idea di che cosa avrebbe significato la famigerata discesa in campo, né me ne importava. Beata innocenza. Pare che in diversi punti il videomessaggio che l’ex premier ha voluto propinare per l’ennesima volta agli italiani richiamasse proprio quello del ’94. Non so se sia vero e non intendo appurarlo, ma se così fosse possiamo prenderlo come il segno della vera fine di un’epoca: un video ce l’ha portato, un altro se lo porta via. Puoi lasciare il campo e andartene a casa, Presidente. Scegli tu quale.

Quando è salito al Quirinale è stato accompagnato da una folla tale da sembrare un corteo non autorizzato – se fossi stata a Roma sarei stata lì anch’io, probabilmente. Emilio Fede ha cercato di far passare per applausi i fischi, patetico fino all’ultimo. Il lancio di monetine (presunto? accertato?) è probabilmente il minimo che ci si poteva aspettare da un Paese esasperato, e chi non vive nella vita reale può “condannare la violenza” quanto vuole. Ma di quale violenza stiamo parlando, poi? La politica di questi ultimi 17 anni è stata molto più violenta di quanto possa essere una folla di persone che cantano l’Alleluia.

Il 12 novembre 2011 in parecchi hanno festeggiato. Mi chiedo quelli che lo hanno votato che fine abbiano fatto. Anzi, me lo sono sempre chiesto: ad ogni governo Berlusconi chiedevi in giro e non trovavi un’anima che gli avesse dato il voto, nessuno, pareva di giocare allo schiaffo del soldato. Uno dei tanti misteri dell’era Berlusconi.

Che, già che ci siamo, non la vedrei poi tanto finita. Non so se il cialtrone spunterà su di nuovo come ha più volte fatto, nonostante ormai la sua veneranda età gli consigli di limitare gli sforzi; ma se anche Berlusconi fosse davvero finito, è il berlusconismo che mi dà da pensare. E non parlo solo dei politici che si riciclano e della politica divenuta sempre più sciatta e volgare, ma dei cittadini stessi che sembrano aver assorbito i peggiori difetti di chi li governa, che hanno imparato a considerare lo Stato come un nemico da cui difendersi, a vedere nella politica esclusivamente la disonestà e la violenza di linguaggio e di idee, a ritenere lecito e paurosamente normale, sull’esempio dei nostri governanti, quel che normale non è, né tantomeno lecito, a perseguire il successo tramite l’egoismo e la furberia mentre ci si riempe la bocca di meritocrazia sì, ma solo per gli altri, perché invece a noi tutto è dovuto, a rendere cronica la ricerca di scorciatoie dove le istituzioni mancano o remano contro, ad essere rassegnati, ad accontentarsi di svendere sé stessi e i propri diritti, a voler essere come loro. Sì, perché trovo triste e disgustoso che un ragazzo di vent’anni aspiri a diventare un settantenne che si circonda di ragazze troppo giovani per distrarsi dal pensiero dei processi e dei milioni da difendere, con uno stuolo di leccapiedi e faccendieri per famiglia, truccato come una ballerina in televisione a far finta che del popolo gli importi davvero qualcosa, perso in deliri di onnipotenza telefonici tra rivoluzioni e persecuzioni, solo per allontanare il pensiero del suo mausoleo già pronto.

Un aspetto esilarante di questa trasformazione delle nostre stesse teste sono i trending topics di twitter di oggi e le battute nate intorno al governo Monti. Non parlo tanto dei #montifacts (“La crisi del ’29 fu risolta annunciando che nel ’43 sarebbe nato Monti”, “Monti raccoglie le conchiglie nel Mar Rosso dividendo le acque”, “Ogni volta che Monti aggrotta le sopracciglia un Compro Oro chiude”, e soprattutto “Monti può sedersi sul posto di Sheldon Cooper”, ma anche “I Monti sono il nascondiglio preferito dei Draghi”) quanto dei giochi di parole intorno, sopra, sotto e ai lati del nome del neoministro allo Sviluppo economico Corrado Passera (e non solo: “tutti #Gnudi aspiriamo #Profumo di #Passera sui #Monti” rende bene l’idea), e fioccano battute sull’apparente continuità col governo appena caduto, come dire che sempre di quello si parla. Non siamo più abituati alla compostezza e alla sobrietà che vediamo invece nelle apparizioni televisive del nuovo Presidente, che avrà tutti i difetti di questo mondo, ma almeno non racconta barzellette. Twitter, lo sottolineo en passant, è formidabile nel seguire gli eventi di questi giorni (a questo proposito consiglio questo post che racconta in cinque punti come il social network abbia seguito la nascita del nuovo governo meglio di una testata giornalistica).

Mettendo da parte le battute, insomma sembra proprio che non ce ne liberiamo. Il berlusconismo è penetrato troppo profondamente in una società che deve reimparare a volere di più dai suoi rappresentanti, e anche da sé stessa. E spero che chi, come me, è cresciuto con il faccione di Berlusconi in televisione sappia sbarazzarsene.

Oggi, 16 novembre 2011, il nuovo governo ha giurato ed è ufficialmente alla guida del Paese. Non so se la situazione migliorerà o se andremo definitivamente a ramengo, non so come l’Italia in generale e la mia vita in particolare cambieranno nei prossimi e meno prossimi tempi, ma di certo qualcosa dovrà cambiare. Spero in meglio. Spero in una strada nuova. E spero soprattutto di non voltarmi indietro tra venti, trenta, quaranta anni e rendermi conto di aver agito esattamente come i finti cinici, menefreghisti, ignavi, ipocritamente disonesti, i perché così fan tutti che oggi tollero a mala pena e che non fanno altro che lasciare che le cose vadano come vanno continuando a considerarsi vittime innocenti.

Berlusconi, goditi gli anni che ti restano e lascia a noi raccogliere i cocci. Magari ha ragione Benigni e anche stavolta saremo il Paese della resurrezione.

Una notte senza il giorno, un giorno senza la notte

L’altra sera hanno mandato in tv per l’ennesima volta Ladyhawke. E io, per l’ennesima volta, me lo sono visto.

È un film del 1985 e lo mandano almeno una volta l’anno fin da quando ho memoria (di solito a Natale però). Se possiamo, io e la mia famiglia ce lo guardiamo – in religioso silenzio – da anni.

Abbiamo la videocassetta che non so più quant’è vecchia in cui tutte le immagini sono scure e nelle scene iniziali non si vede neanche la faccia di chi parla. Poi abbiamo comprato il dvd e lo abbiamo visto anche il lingua orginale, scoprendo che la città che nella versione italiana suona pressapoco come “Aguillon” [pronuncia aghijon – che orrore scriverlo così], in quella originale è “Aquila”. Difatti il film, pur essendo ambientato in una Francia medievale, è stato girato completamente in Italia, precisamente nelle province di Parma e Piacenza, nel Parco del Gran Sasso e in altre località in provincia de L’Aquila, per l’appunto. Per essere precisi precisi, i borghi medioevali che compaiono sono quelli di Torrechiara (che dovrebbe essere il castello dell’Arcivescovo), Castell’Arquato, la fortezza di Soncino, Bacedasco di Vernasca, la Rocca di Calascio che è il rifugio del monaco, mentre la chiesa della scena finale è San Pietro a Tuscania. Pensare che io a Soncino ci sono pure stata, senza sapere che ci è stato girato un film cult della mia infanzia (e anche degli anni ’80).

Non so perché dopo anni che lo vediamo e lo conosciamo a menadito questo film continua a piacerci tanto da non rinunciarci. Che poi ogni tanto scopriamo qualcosa, per esempio quest’anno eravamo lì io, mia sorella e i miei in silenzio davanti alla tv mentre il film iniziava (non so come abbiamo fatto ad avere tutti contemporaneamente quei cinque minuti di pace, considerando che eravamo al lavoro – la situazione, a ben vedere, era surreale) e ci beavamo della colonna sonora che ci piace parecchio, e che è molto anni Ottanta, e nei titoli di testa infatti poi abbiamo letto che è di Andrew Powell, collaboratore degli Alan Parsons. Si spiega tutto, dico io. Chissà perché non ci abbiamo mai fatto caso prima.

Matthew Broderick ladruncolo coinvolto suo malgrado, Michelle Pfeiffer bellissima e maledetta Lady falco, John Wood cattivo dei cattivi (un arcivescovo di bianco vestito che stringe un patto con il diavolo): cast niente male.

E poi c’è lui: il mio uomo ideale.

Rutger Hauer

Legittima soddisfazione

A volte ho l’impressione che noi italiani condensiamo più degli altri popoli una delle caratteristiche più strane dell’essere umano: rivelare la parte migliore di sé stessi nei momenti più difficili.

Ma forse è solo una cazzata; sarà il timido, prudente entusiasmo con cui mi guardo intorno e penso che forse non tutto è perduto.

Il referendum è passato, il SI ha vinto.

E mi becco pure le lezioni di recitazione aggratis.

E l’esame preparato in due giorni (!) è andato benissimo (!).

Un Lucano e goccia.