E sembrerò seria, e sembrerò in vena

Il mio mood da un anno e mezzo a questa parte, in estrema sintesi, è stato per la maggior parte del tempo questo:

(che poi, non ci vuole niente a sostituire “2013” con “2016”)

 

 

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Che si vada a incominciare.

È la prima volta, da che ho memoria, che l’appressarsi della fine dell’anno porta con sé l’incalzante sensazione che qualcosa, davvero, stia finendo. E che qualcos’altro, dunque, inizierà.

Forse perché è la prima volta, da che ho memoria, che non si tratta di una parentesi tra impegni rimasti in sospeso, che si chiamano da un lato all’altro dello spartiacque. Ché il capodanno, piazzato lì tra una presunta festività religiosa e l’altra, nel mezzo di qualche giorno di vacanza strappata a occupazioni e scadenze, a ben pensarci, perde un po’ di senso. Buona fine, buon inizio!, ma di cosa, che domani devo studiare per l’esame di gennaio, esattamente come ho fatto ieri? Per dire. Non si fa in tempo a chiudere un capitolo che si sta già pensando a quello successivo, che poi è esattamente identico al precedente, c’è solo un numero diverso nella data del calendario.

Quest’anno non ho esami. E non ho neanche un lavoro, le mie sono ferie perenni. Non ho strascichi, non ho ponti mentali da un lato all’altro di una data che dovrebbe essere fatidica.

Però no, non è solo questo. È che sta finendo il 2015, che è stato un anno lunghissimo e difficile, e con lui ho la sensazione che finiscano molte altre cose. Non è stato un anno da dimenticare, anzi va ricordato per bene, perché ho imparato tanto di me, tanto da me. Tanta intensità, tanta scoperta, tanta fine; ma la fine non è sempre qualcosa di negativo, e non parlo solo della laurea. Potrei dire che è stato un anno vissuto intensamente. Tanta vita, insomma.

E l’impellente sensazione, ora, che sia tempo di chiudere capitoli ed iniziarne altri. E la forza di credere che, qualunque cosa succederà, saprò affrontarla come ne ho affrontate altre, che sarò all’altezza di me stessa. Perché la vita, a me, piace. O almeno questo è quel che mi sento di aver imparato da quest’anno. No, c’è anche un’altra cosa: l’amore non si dice, si fa.

Sono solo all’inizio, ma ora che sono partita non ho intenzione di fermarmi. Finisce questo anno, ma ne inizia un altro. E allora, che si vada a incominciare.

 

Altalene

Seduta davanti al computer, dove finalmente sta prendendo forma la mia tesi, ascolto musica anni Ottanta in cuffie enormi e viola, fuori il sole tramonta dopo aver riscaldato la giornata e a me viene voglia di ballare forte.

Loving would be easy if your colors were like my dream

Oscillo tra immersioni e trasvoli, tra ombra e luce, come su una lunghissima altalena, ma non ho dubbi sul fatto che sia tutto da fare, tutto da esperire, e che a ogni regressione può seguire un avanzamento, nessuno può impedirmelo tranne me stessa.

Why won’t you ever know that I’m in love with you?

Non voglio evadere dal mio corpo e dalla mia mente, non più, la mia vita non è una gabbia e io non sono prigioniera.

Ooh heaven is a place on earth

Ho paura, ma non abbastanza da rimanere ferma.

When you go you’re gone forever

Quattordici anni dopo

Segno la data quassù, perché, come sa chi mi legge da un po’, è un argomento che mi sta a cuore.

La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per i fatti avvenuti alla Diaz durante il G8 di Genova. L’Italia è stata riconosciuta colpevole di aver violato l’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani.

La Corte, nello specifico, ha condannato l’Italia per tortura, ha stabilito che ha una legislazione penale inadeguata perché non prevede tale reato e che non ha nemmeno delle norme in grado di prevenire in modo efficace il ripetersi di tali possibili violenze da parte della polizia. Il problema, si legge nel comunicato stampa della sentenza, è «strutturale». [IlPost]

Questo è avvenuto grazie ad Arnaldo Cestaro, un uomo di 76 anni che non ha mai ottenuto giustizia e probabilmente mai la otterrà. Spero almeno che potrà vedere con i suoi occhi il giorno in cui l’Italia approverà una legge che riconosca il reato di tortura e che impedisca allo Stato di legittimare la sua stessa violenza.

La Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per il massacro alla scuola Diaz – Il Post

Accolto il ricorso di Arnaldo Cestaro – Ansa

Cos’è successo nella scuola Diaz – Internazionale

Perché in Italia tutti hanno paura della polizia  – Internazionale