L’ultimo degli esami

Emergo dai libri per dire solo una cosa: tornare a studiare latino a 25 anni, dopo dieci anni di oblio, è qualcosa di terrificante.

Terrificante.

Però è uno sforzo che sottolinea adeguatamente l’importanza dell’evento: questo è il mio ultimo esame, l’ultimo in assoluto della mia carriera universitaria. Dopo di questo, solo la tesi mi separerà dalla mia laurea magistrale. Dopo di questo, ci sarà finalmente la FINE: la mia vita universitaria sarà terminata.

Dopo di questo, potrò finalmente trascorrere in pace mesi e mesi a cercare lavoro e a godermi la dolce sensazione di non aver più lezioni a cui arrivare in ritardo (e per le quali farsi tenere il posto dalle amiche), esami che incombono sulla mia testa con date con cui si può giocare a tetris e pomeriggi passati a fotocopiare illegalmente libri della biblioteca, pranzi a base di pizza sull’erba della città universitaria e viaggi estenuanti fuori e dentro Roma, collezioni – e collazioni – di generosi appunti altrui e trepidanti attese fuori dagli studi dei professori (quando ci si sente davvero tutti sulla stessa barca), collassi dovuti alla kafkiana burocrazia delle segreterie e conversazioni che non sai bene se l’ansia te l’hanno fatta venire o te l’hanno fatta passare, entusiasmi da prime lezioni, soprattutto di quei corsi che sulla carta sembravano una schifezza, e invece! (quegli stessi entusiasmi che scompaiono magicamente quando si avvicinano la date dell’appello e si è convinti che si studierebbe volentieri qualsiasi cosa, ma non quella), serate accampati in casa d’altri senza sentirsi di troppo e uscite sempre con pochi soldi in tasca, alla ricerca della mostra gratuita o del biglietto scontato, incontri piacevolmente imprevisti e pianti cui solo un bacio può dare sollievo, nottate passate a decifrare la prosa dell’eminente studioso di turno e a cercare di arrivare, finalmente, alla fine del maledetto capitolo, soli, mentre fuori tutto tace, e l’unica domanda che emerge dal fondo della stanchezza, potentemente, è: ma a me, ma chi cazzo me l’ha fatto fare?

E da lì al chi sono, da dove vengo, dove vado ma soprattutto, io, cosa mai voglio fare della mia vita? il passo è breve, anzi, brevissimo.

Insomma, sarà la fine di tutto questo. Fantastico, no? 

…No?

 

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RiTroviamoci

Vi segnalo questa iniziativa blogghesca: si chiama RiTroviamoci e risponde a un desiderio che prima o poi, nello scrivere  e nel leggere blog, si ha. O forse no. Se l’avete, sappiate che il primo incontro tra blogger si terrà a Roma, presumibilmente a maggio (per favore, votate maggio si potete, che maggio va bene sotto tanti punti di vista, non ultimo che Roma è troppo bella, a maggio).  Se l’iniziativa vi interessa, partecipate: sembrano un sacco organizzati, ‘sti qua. Dal canto mio, non perderò l’occasione per conoscere e riconoscere belle persone.

Orzo solubile

Sapete cosa succede se versate un po’ d’acqua calda in un barattolo pieno di orzo solubile? Non lo sapete? Ah, che vi siete persi. Allora, vi dico io che succede. Ma mica perché è capitato a me, eh. No no. A un’amica di una mia amica, è capitato. Sì sì. Era molto stanca, con addosso una stanchezza che la addormentava, eppure aveva dormito parecchio. Troppo, probabilmente. E aveva mal di testa dalla mattina, e neanche una bustina intera di Oki era riuscita a farglielo passare, segno che era uno di quei mal di testa accaniti, indifferenti a qualunque soluzione tu tenti, di quelli insomma che facciamo passare ‘sta giornata e andiamocene a letto, e la mattina dopo sarà scomparso così come è venuto. E insomma, quest’amica di una mia amica decide di farsi qualcosa di caldo ché, tra le altre cose, sente anche freddo – le viene anche il dubbio fugace di avere la febbre, ma non ci si sofferma troppo perché sa di non averla – perché in effetti fa un freddo becco da un po’ di giorni a questa parte, persino a Roma fa freddo mentre di solito a Roma si suda anche a dicembre, soprattutto se corri per non perdere l’autobus, e a lei però questo freddo piace, stranamente. Di solito lo odia, il freddo, non le piace sentire freddo, l’inverno è bello solo perché c’è il caminetto e il Natale e basta, se non nevica poi neanche vale la pena, di avere l’inverno, perché la neve è bellissima e giocarci le dà una profonda gioia infantile, ma solo una mezz’oretta e poi di nuovo dentro a sorseggiare cioccolata davanti al fuoco, l’ha sempre pensato, lei, che a quelli a cui piace l’inverno in realtà piace stare dentro casa al caldo mentre fuori infuria la bufera o la pioggia o il gelo che blocca tutto, e allora non è vero che a loro piace l’inverno, piuttosto piace essere al riparo dall’inverno, al sicuro, a cullarsi guardando fuori dai vetri doppi. Però quest’anno è un po’ diverso. Non è che le piaccia sentire freddo, quello mai, però uscire di casa e inspirare quell’aria ghiacciata, piena di un odore inconfondibile che non può essere definito se non odore di inverno, che porta ricordi confusi e confortanti, che sa di pulito e puro, e il silenzio, almeno a casa sua, che scende dalle montagne e si posa ovunque, il colore grigio del cielo che sembra abbassarsi sulla terra – ma no, sono le nuvole cariche di neve, che poi magari si aprono e mostrano un azzurro così pulito e intenso da non credere che esista in natura una cosa così, e il vento che si infila tra il collo e la sciarpa, a tradimento, e rimanere per un attimo di più a vibrare dello scuotimento che provoca su per la schiena, prima di alzarsi il bavero e rituffare la faccia nella lana, chiudere tutti gli spifferi, incassarsi meglio il cappello sulla fronte, per assaporare la sensazione di vita che quello spiffero ti ha mandato dritto nel cervello insieme allo shock termico, come se vivere fosse resistere al vento, camminare incontro al gelo che entra nelle ossa raddrizzando la schiena, e rabbrividire magari, ma solo per scuotersi e ripartire, come se si fosse un po’ più forti. Ecco, è strano, ma quest’inverno un po’ il freddo le piace. Solo che non le piace infreddolirsi, no, e quindi dopo essere uscita pensa di farsi qualcosa di caldo, anzi di bollente, e allora sceglie l’unica cosa priva di teina della dispensa, vale a dire l’orzo solubile, che fra l’altro le ricorda ancora l’inverno, perché spesso ci faceva colazione la mattina quando andava a scuola e doveva prendere il treno alle 7 e un quarto e uscire a quell’ora con il ghiaccio sulla macchina che quasi non si riusciva ad aprirne le portiere non le piaceva per niente, figuriamoci gli spifferi sul collo, però doveva. E allora fa bollire l’acqua nel suo bravo pentolino, apre il barattolo dell’orzo dei bimbi, prende una tazza e ce la appoggia vicino, prende la presina, solleva il pentolino, e versa l’acqua nel barattolo dell’orzo. Non tutta. Ma quella poca sta facendo una sorta di laghetto nel bel mezzo dell’orzo. Lei la osserva, tranquilla, tanto ormai. E insomma, sapete che succede? L’acqua a poco a poco cade, assorbita dal fondo, e crea un grumo morbido di orzo sciolto compattato da orzo non sciolto tutt’intorno, una specie di mega caramella gommosa impanata di orzo. Le parti che si sono staccate si possono prendere anche in mano, vi dirò. E se riuscite a togliere tutto l’orzo ancora salvabile trasferendolo in un altro contenitore, noterete che questa caramellona è anche abbastanza grande, nonostante la poca quantità d’acqua che l’ha formata, e che a poco a poco prende il colore e la consistenza della pece. Non si stacca dal maledetto cucchiaino neanche a colpi di getti d’acqua del rubinetto e si incolla alle dita. E dato che tutto questo è accaduto ieri, e nel frattempo nessuno si è preso la briga di intervenire in alcun modo, se oggi poteste vedere il barattolo vedreste tutto un fondo nero e appiccicoso e semisolido che immagino sarà parecchio difficile tirare via da lì. Però chissà, magari l’amica della mia amica ha condotto, senza saperlo, un esperimento scientifico. Chi può sapere quali reazioni chimiche può provocare il contatto di un po’ d’acqua bollente ricca di calcio con dell’orzo solubile e dell’alluminio (cioè il rivestimento interno del barattolo)? Magari succede come con Fleming, che ha scoperto la penicillina scordandosi in giro un contenitore pieno di muffa, e va a finire che l’amica della mia amica ha scoperto, chessò, la cura per la calvizie. Lei. Perché io no, io non sono così rimbambita da versare dell’acqua in un barattolo pieno d’orzo. Ora però scusatemi che devo andare a decidere se lavare o buttare direttamente nella spazzatura un barattolo che ho di là in cucina. Ieri non avevo tempo, ero parecchio stanca perché domenica sono andata a Più libri più liberi e ho fatto e visto un sacco di cose, poi vi racconto.

Ho baciato Max Gazzè

Vorrei dire che questo musicista qui mi piace assai, è molto bravo, è pure simpatico, suona e canta che è un piacere proprio e poi è pure poeta. E soprattutto, non mi ha mandato a quel paese quando a fine concerto (che in realtà era una jazz session, che a me il jazz boh, ci capisco poco e dopo un po’, sarà una blasfemia, ma m’annoia pure, però stavolta no, perché stavolta lui ha preso alcune sue canzoni più famose e ci si è divertito insieme agli altri musicisti, c’erano dei musicisti bravissimi, un pianista, un tastierista, un sassofonista anzi due però uno suonava pure il clarinetto ed è pure famoso, Stefano di Battista si chiama, e un batterista, e hanno riarrangiato le canzoni così, improvvisando, e son venute fuori delle cose bellissime, che io che ero pure arrivata tardi però stavo proprio sotto al palco perché capirai, era un concerto al paese, pure gratis, gratis hai capito!, Max Gazzè sotto casa, senza spendere un soldo e senza troppa gente tra i piedi, questo è culo, e stavo sotto al palco anche se ero arrivata tardi, ma tanto prima c’era un’altra cantante che per carità sarà brava ma proprio non mi interessava, e insomma ero là e me la sono goduta tutta, e l’ho studiato tutto il tempo che a volte fa ridere come si muove, e fa ridere anche per come parla, insomma è divertente, e pure bravo certo, e si è divertito pure lui, lui suona il basso sapete, e io stando così vicino che quasi gli potevo stringere la mano ho fatto un po’ di foto e anche qualche video, per far sentire a chi non c’era, e per risentirmi anche da me, che roba che stava facendo venire fuori da quelle canzoni, ma brevi i video perché non mi andava di vedere il concerto attraverso lo schermino della fotocamera, e alla fine si è anche scaricata e quindi le canzoni più belle neanche le ho riprese, ma magari è stato meglio così perché me lo sono goduto tutto fino alla fine compreso il bis, bellissimo) a fine concerto dicevo, sono passata dietro al palco, senza neanche problemi, che la sicurezza in questi concerti di paese che te lo dico a fare, io abituata a Roma che è tutto blindato, invece stavolta è bastato aggirare le transenne, per giunta sotto al naso dei Carabinieri, ed eravamo lì e dicevo che non mi ha mandato a quel paese quando gli ho chiesto una foto, e poi gli ho stretto la mano e l’ho abbracciato e baciato, e gli ho detto bravo, e per fare tutto questo c’era quella sigaretta che proprio non riusciva a fumarsela per starmi appresso, e non mi ha mandato a quel paese nemmeno quando l’ho seguito – ebbene sì – nel gazebo dove teneva la custodia del basso e gli ho lasciato il biglietto da visita del ristorante dei miei, hai visto mai!, e lui all’inizio pensava gli volessi offrire da mangiare proprio lì in quel momento, o che lo volessi invitare a cena che ne so, magari gli capitano ‘ste cose che la gente dopo i concerti lo invita a cena, e mi diceva ma no, grazie, ho cenato, poi devo ripartire per Roma, e io no guarda ti volevo solo lasciare il biglietto, al che lui non solo non m’ha cacciato ma anzi ha preso il biglietto e mi ha chiesto dove era questo posto, e gliel’ho spiegato, e mi ha detto grazie, e sembrava cortesemente interessato e sorrideva però poi è arrivato l’altro musicista, quello che suona sia il sassofono che il clarinetto, che ci ha detto se potevamo lasciarli soli, dovevano parlare, e allora siamo andati via, ma se fosse stato per lui no, e magari faceva anche finta e non vedeva l’ora che ci levassimo dai piedi ma se è così non ce l’ha fatto proprio vedere, e adesso mi piace anche più di prima perché io pensavo che fosse una persona gentile e simpatica e forse, probabilmente lo è davvero e questo è bello.

E un’altra cosa bella è che Max Gazzè, con tutto che non è proprio sconosciuto e fa concerti e tante cose e vende dischi, a lui se gli chiedono di andare in un paesello sperduto a fare una jazz session in un prato a entrata libera in una domenica sera di agosto, in uno dei pochi buchi dal tour che ha, beh lui dice si.

(Che poi magari non è vero e l’hanno dovuto convincere e si è pentito e gli ha fatto schifo o l’ha fatto solo per fare un favore all’amico musicista che stava per tagliarsi le vene all’idea di fare sta serata davanti a quattro persone e due bancarelle, ma insomma è anche bello pensarla come la dico io. Hai visto mai.)