Il giorno in cui ho superato – e molto meglio di quanto sperassi – il mio ultimo esame – non di quest’anno, ma dell’intero corso, e spero anche dell’intera mia carriera universitaria – ho inviato un sms a una cara amica che non vedevo da tempo, la stessa con cui ho brindato la sera del mio ultimo esame di triennale, la quale mi ha dato precise indicazioni: bevi; e poi canticchia tra te e te: “che sensazione di leggera follia…”. Ho convenuto che in effetti non la si poteva contraddire.
Ho iniziato con il secondo punto, ma al primo non ci sono arrivata, non subito: quella sera sono rimasta spalmata sul divano di casa di Prince, vale a dire l’uomo che mi sopporta da più di un anno a questa parte, a guardare la tv e ad addormentarmi sulla sua spalla.
La bevuta di rito si è avuta la sera successiva, sempre con la cara amica, che è ormai ufficialmente colei che mi offre la birra quando finisco gli esami (e ora, ripeto, spero basti). Una bella serata di ottobre, fatta apposta per festeggiare – per rivedersi con la scusa di festeggiare, e per scherzare e per raccontarsi, e che poi diventa piena di discorsi su cose importanti, tipo le prospettive, tipo il futuro, tipo le relazioni, le situazioni difficili, le sofferenze provocate senza volerlo, l’amore che si da come si può, la rabbia, gli errori, le idee che si cambiano, e quelle che non si cambiano. Queste cose umane, queste cose – mi viene da dire- un po’ da grandi.
Queste cose che non ti aspetteresti di affrontare la sera che sei seduta su un gradino nel rione Monti a celebrare, come un rito, la fine degli esami, e che dovrebbe essere spensierata, leggera, e tutta tua; ma poi ci pensi e invece è proprio la sera giusta, perché la fine degli esami – di questi esami – è soltanto l’inizio di qualcos’altro – qualcosa, mi viene da dire, un po’ da grandi. E se quella sera di tre anni fa, quella passata sempre seduta su un gradino, ma da un’altra parte di Roma, a San Giovanni, sotto casa di cara-amica, perché andare più lontano era impossibile per la stanchezza appesa addosso come un panno bagnato, se quella sera è stata sì spensierata, leggera, mia, forse è perché il futuro sembrava ancora lontano, e così i discorsi seri, le prospettive, e persino gli altri, l’altro da me, che invece ora è così vicino, pare. Forse stiamo (sto) diventando (un po’?) grande.
Intanto, mi segno questa data (noveottobreduemilaquattrodici), e il prossimo obiettivo è la tesi, e per non smentirmi mai sono indietro in modo pauroso (giusto per dimostrare a me stessa che, tutto sommato, dovrei ancora lavorarci su questa faccenda del diventare grande). Credo di essere stanca, e nonostante questa volta mi sia scelta sia il relatore che volevo da sempre, sia l’argomento, ci sono momenti in cui pregherei di allontanare da me questo amaro calice e lasciarmi laureare in santa pace con una tesi sulle merendine. Ma pare non si possa, quindi mi faccio forza pensando che se sono riuscita a superare un esame di latino con il massimo dei voti ora posso tutto, anche scrivere una tesi, che per di più mi piace, senza averne la minima voglia e a tempo record!
Spero.
[Per fortuna c’è una spalla su cui posso riposarmi.]