L’ultimo degli esami

Emergo dai libri per dire solo una cosa: tornare a studiare latino a 25 anni, dopo dieci anni di oblio, è qualcosa di terrificante.

Terrificante.

Però è uno sforzo che sottolinea adeguatamente l’importanza dell’evento: questo è il mio ultimo esame, l’ultimo in assoluto della mia carriera universitaria. Dopo di questo, solo la tesi mi separerà dalla mia laurea magistrale. Dopo di questo, ci sarà finalmente la FINE: la mia vita universitaria sarà terminata.

Dopo di questo, potrò finalmente trascorrere in pace mesi e mesi a cercare lavoro e a godermi la dolce sensazione di non aver più lezioni a cui arrivare in ritardo (e per le quali farsi tenere il posto dalle amiche), esami che incombono sulla mia testa con date con cui si può giocare a tetris e pomeriggi passati a fotocopiare illegalmente libri della biblioteca, pranzi a base di pizza sull’erba della città universitaria e viaggi estenuanti fuori e dentro Roma, collezioni – e collazioni – di generosi appunti altrui e trepidanti attese fuori dagli studi dei professori (quando ci si sente davvero tutti sulla stessa barca), collassi dovuti alla kafkiana burocrazia delle segreterie e conversazioni che non sai bene se l’ansia te l’hanno fatta venire o te l’hanno fatta passare, entusiasmi da prime lezioni, soprattutto di quei corsi che sulla carta sembravano una schifezza, e invece! (quegli stessi entusiasmi che scompaiono magicamente quando si avvicinano la date dell’appello e si è convinti che si studierebbe volentieri qualsiasi cosa, ma non quella), serate accampati in casa d’altri senza sentirsi di troppo e uscite sempre con pochi soldi in tasca, alla ricerca della mostra gratuita o del biglietto scontato, incontri piacevolmente imprevisti e pianti cui solo un bacio può dare sollievo, nottate passate a decifrare la prosa dell’eminente studioso di turno e a cercare di arrivare, finalmente, alla fine del maledetto capitolo, soli, mentre fuori tutto tace, e l’unica domanda che emerge dal fondo della stanchezza, potentemente, è: ma a me, ma chi cazzo me l’ha fatto fare?

E da lì al chi sono, da dove vengo, dove vado ma soprattutto, io, cosa mai voglio fare della mia vita? il passo è breve, anzi, brevissimo.

Insomma, sarà la fine di tutto questo. Fantastico, no? 

…No?

 

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Zero

Primo febbraio duemiladodici, ore nove: mi sveglio e fuori è tutto coperto di bianco.

Guardo fuori, poi mi rinfilo a letto per altre tre-quattro ore.
Ieri ho consegnato in segreteria l’ultimo verbalino dell’ultimo esame del mio corso di laurea triennale, sostenuto il giorno prima. Otto ore di attesa, più o meno come il mio primissimo esame del mio corso di laurea triennale. Quella volta l’ho passata seduta sul pavimento freddo, mangiata dall’ansia, a rileggere febbrilmente pagine su pagine, a ripetere insieme ai compagni di corso conosciuti appena poche settimane prima. Indossavo una curiosa maglietta decorata con motivi orientali, appartenuta a mia madre, made in Pakistan o giù di lì. Bellissima, ci sono tutt’ora affezionata da morire. Era la mia maglietta porta fortuna. E tu vai a fare l’esame conciata così? mi ha detto uno dei compagni di cui sopra, fissando le stampe colorate e le maniche a pipistrello. Io almeno ogni tanto mi cambio, ho detto io fissando i suoi jeans, sempre gli stessi.
Belle, le prime conoscenze all’università.

Stavolta però niente maglietta, in compenso avevo una sedia e un bagaglio di altre quaranta esperienze simili già affrontate – quaranta esami in poco più di tre anni, a pensarci adesso è quasi da folle.

Poi uscire nel freddo inaspettato di Roma con un ultimo pezzo di carta in mano e l’immancabile mal di testa in testa, incontrare la sorella, telefonare a casa       sì è andato tutto bene, però sono qui dalle nove di stamattina, non ne potevo più        no, non ho fame sorella, ho pranzato con un kitkat e neanche l’ho finito        non mi capacito del perché io debba sempre essere la discarica delle ansie altrui, l’hai sentito che non stava zitto un attimo?       non lo so come ci si sente a dir la verità, probabilmente devo ancora rendermene conto        e comunque l’assistente teneva davvero troppo, è stata una storia infinita, ma adesso vado a casa, sì ok mangerò.

Dopo due birre da otto gradi a stomaco vuoto ho capito che era il caso. Le orecchiette cucinate alle undici di sera  dall’amica M. che mi ha ospitato hanno fatto il loro mestiere. Il gatto che quella mattina mi aveva dato l’in bocca al lupo mi guardava attento. Io pensavo alla mia amica MF. a cui devo parecchio di tutto questo, e che non era con me – ma lo sarà presto, oh se lo sarà.

Forse è stato il mio ultimo esame alla Sapienza. Forse. Chissà. Tutto è così imprevedibile.

Segno, come è doveroso, la data sul calendario. Non è una gran data, non è niente di epico, niente di poetico, niente di profondo. È una piccola cosa di cui vado tranquillamente e intimamente fiera, che mi proietta un po’ più avanti, che mette un punto fermo a impegni, fatiche, paure, passioni, fibrillazioni e a parecchie altre cose che sono state e sono ancora parte di me.

E auguri alla mia mamma che oggi compie cinquant’anni, lei che mi tiene sospesa sui baratri senza mai farmi cadere.