Neve

C’è il vento fuori che ulula e non sembra aver intenzione di tacere. La neve si ammucchia sui gradini, sui davanzali, sui rami degli alberi, dopodiché viene spazzata via da una nuova raffica, vortica per un momento in aria in onde bianche, scivola via.

I passeri e i merli non avevano pace, oggi, e si chiamavano da ramo a ramo, arrivavano fino alle finestre per le briciole di pane ghiacciate che avevamo lasciato.

Non è silenziosa, questa neve. Non scende lenta in grandi fiocchi, non riposa sulle foglie. Non ci lascia uscire a guardarla, anzi ci chiude in casa. A un certo cane nero di mia conoscenza non importa un granché: corre e saltella, sembra non conoscere il freddo. Infila il naso nei cumuli, poi lo tira fuori completamente imbiancato, annusa l’aria, si rotola. Il suo degno compare non sembra altrettanto contento di questo clima, e dopo una corsetta torna al coperto, la zampa davanti sollevata – è quella che gli fa ancora male quando è umido, quella che una volta si è rotta.

Le finestre di casa sembrano quelle delle cartoline natalizie: quadratini bordati di legno scuro dagli angoli ricoperti di neve, come fosse glassa di zucchero. Persino il grosso portone d’ingresso è glassato da un bianco perenne.

Non sembra un giorno per agire, ma un giorno pensare. L’immobilità del corpo però intorpidisce anche la mente. Forse pensare non è una buona idea. Forse cercare non è una buona idea. Del resto, non sono neanche brava a farlo, anzi, direi proprio che faccio schifo, a cercare.

L’immobilità, ti dirò francamente, caro amico, non credo mi faccia molto bene. Non permette al sangue di circolare a dovere. Non che non mi piaccia, sia chiaro: la mia pigrizia non è un mistero, e avere una scusa per esercitarla… Però mi rallenta la vita nei polsi. Al che mi incastro in cumuli – di neve? essì, pare proprio un che di ghiacciato – che non riesco a superare, nei quali mi incastro docilmente, dolcemente.

Ebbene, cosa faremo di questa consapevolezza? Fermarsi a pensare è indispensabile, non si pensa un granché bene se il cuore pompa alla velocità del vento (o forse sì?). Ma se l’immobilità rallenta la vita, in realtà non fa che farla scivolare più velocemente, e in men che non si dica un nuovo giorno è passato e tu sei la stessa del giorno prima, solo un po’ più vecchia.

Quindi, che fare? Alternare attimi di ipervelocità a  momenti di iperstasi? Potrei. Anzi, ti dirò, lo faccio già. Ci sono vortici che mi prendono e mi portano altrove, che mangiano ore e giorni, che mi sollevano su scorci di paesaggi intravisti e attraversati – per poi, però, riadagiarmi su lidi ben conosciuti, che rivedo ogni volta con sempre minore, malato affetto e maggiore, impotente fastidio. Allora, ti chiedo ancora, che fare? Assestarsi finalmente su un equilibrio tra movimento e non movimento che sia regolare abbastanza da vivere e pensare allo stesso tempo?  Un passo tranquillo ma determinato che mi porti finalmente a voltare le spalle a orizzonti fin troppo familiari, per sostituirli gradualmente con nuovi panorami? Ma questo non è possibile, caro amico. Non siamo noi, fin troppo spesso, a decidere cosa fare del nostro sangue in circolo. A volte, come oggi, c’è questa neve che ti blocca e non ti lascia andare…