Certe volte penso a come vorrei che fosse la mia vita tra qualche anno, quando si suppone che tutto abbia preso una qualche forma e sia diventato più stabile (utopia, soprattutto di questi tempi, ma facciamo finta di crederci) e mi immagino lì circondata di persone che mi sorridono, persone a cui voglio bene, assolutamente imperfette e piene di difetti, persone con cui si parla senza l’ombra di ipocrisia, volti noti o sconosciuti alla me di adesso, con cui non serve fingere, non serve la diffidenza, con cui si può essere rilassati e pieni dei propri difetti, sinceri. Persone con cui sai di poter parlare di qualsiasi cosa. E poi immagino una musica davvero bella in sottofondo, un bicchiere di vino in mano, e le risate di cuore, di quelle che sfiniscono, e le lacrime vere, di quelle che si versano quando l’anima deve guarire, e le opinioni su qualche libro che si è letto ultimamente, o su qualcosa che è capitato, o su una stupidaggine fatta o detta, e i discorsi sugli incontri, sugli amori, sull’idea che ci si è fatta delle persone e su quelle persone che questa idea l’hanno stravolta senza appello. E poi immagino un divano, una luce calda, e le debolezze che emergono e che non fanno altro che farci sentire più uniti, perché tutti siamo un po’ ingenui, un po’ stupidi, un po’ egoisti, un po’ cazzoni, un po’ stronzi, un po’ insicuri e un po’ restii a confessare anche a noi stessi tutti questi lati di cui non andiamo fieri, però non importa perché la perfezione non è di questo mondo, checché ne dicano, e ci sembra molto più importante trovare un senso a noi stessi e alla nostra vita piuttosto che perdere tempo a voler essere qualcos’altro. E trovare un senso significa, immagino a questo punto, non preoccuparsi delle cadute che si faranno, dei mondi che ci crolleranno addosso in questo universo di salite e bivi, ma fare attenzione a non perdere sé stessi nei labirinti che spaventano, e allora l’immagine è quella di prima, quella in cui chi mi circonda lo fa per sorridermi e specchiarsi nel mio, di sorriso, in cui c’è tutto, tutto quello che forse sarà, un nucleo di partenze e ritorni, di pelle che si tocca, di parole, d’amore, di lotte e abbandoni, di stanchezza, di slanci tenaci, di dolore, di gioia, di vita vissuta e da vivere insomma, e la perenne instabilità di un’esistenza che nonostante tutto non ha niente di definitivo, e allora legarci almeno all’umanità di chi ci cammina accanto, anche a grande distanza, anche se a tratti, è tutto quello che possiamo fare per essere felici.