Attraverso il bosco

La forza che davvero muove il mondo è l’incoscienza.

Pensavo. Altro che amore, altro che guerra.

Poi oggi è una giornata di quelle che ti fa esplodere il cuore. Può mai andare storto qualcosa? No! Ah, l’incoscienza…

[E scusate se cambio l’aspetto del blog ogni settimana, la mia instabilità si accentua ogni giorno che passa e qualcuno deve pur subirne le conseguenze]

 ma attenti al lupo

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Orizzonte

Qualche settimana fa (parecchie, ormai) ho rivisto R., una ragazza conosciuta anni addietro in un campo vocazionale di cui i più antichi frequentatori di questo castello, quando era ancora in costruzione, hanno già letto. Una ragazza che come me se avesse potuto sarebbe andata a vedere la Polinesia, che chissà perché a quell’epoca ci attirava tanto. R. ha ventun’anni, gli ultimi due dei quali trascorsi nell’Accademia per allievi ufficiali dei Carabinieri. Per un breve periodo ha seguito un corso qui dalle mie parti e la domenica poteva uscire a prendere un gelato con me, era tanto che non ci vedevamo, che non ci raccontavamo le nostre vite.

R. è una tipa sveglia, determinata, ma anche riflessiva, un po’ timida. Non sapevo che, quando eravamo lì a sviscerarci al campo, stesse già pensando alla divisa. Mi ha colto completamente di sorpresa saperlo. “Mi devi raccontare tutto!” Non c’era molto da raccontare, quando ha capito quel che voleva fare lo ha fatto. Poi ovviamente non tutto è come te lo aspetti. I primi tempi sono difficili, va bene, ma poi c’è anche un altro aspetto, quella sottile disillusione, che non ha niente a che fare con la durezza dell’addestramento, o con la difficoltà dei libri di diritto che forse fuori dall’accademia non avresti mai scelto, no, è un’altra cosa, è quando credi che in posto ci siano delle regole vere, era quello che cercavi, la meritocrazia, l’impegno onesto e intelligente, la soddisfazione che segue al duro lavoro, il contenuto che prevale sulla forma, il rispetto alla fin fine, e invece no, anche lì dove dovresti trovarlo, anche lì dove dovrebbero dare l’esempio, almeno lì le cose dovrebbero funzionare in un certo modo, se non altro per coerenza, o per decenza, anche lì ti spengono a poco a poco ogni motivazione, anche lì non era proprio come te lo aspettavi, come te lo descrivevano, come dovrebbe essere.
Questo ci dicevamo in quei giorni. Ma R. è un tipo determinato. Mi ha raccontato di aver superato un sacco di prove, fisiche, mentali, di nervi. Ha studiato e continua a farlo. Si è perfino buttata da un elicottero col paracadute. E ha solo ventun’anni.
R. ha il suo futuro già chiaro. Sa con precisione dove sarà per i prossimi tre anni, e più o meno cosa le succederà nei successivi dieci. Sa cosa vuole.

Io non so nemmeno cosa farò tra pochi mesi, e a ventidue anni suonati ho solo vaghe e incerte idee di cosa voglio diventate. So bene quello che non voglio diventare, e già è tanto. Pensando a R. mi sono sentita completamente in mare aperto: instabile, incapace. Inetta. Una vertigine di consapevolezza che mi ha colto di sorpresa. Non ero preparata.

In fondo al pozzo

Certe volte penso a come vorrei che fosse la mia vita tra qualche anno, quando si suppone che tutto abbia preso una qualche forma e sia diventato più stabile (utopia, soprattutto di questi tempi, ma facciamo finta di crederci) e mi immagino lì circondata di persone che mi sorridono, persone a cui voglio bene, assolutamente imperfette e piene di difetti, persone con cui si parla senza l’ombra di ipocrisia, volti noti o sconosciuti alla me di adesso, con cui non serve fingere, non serve la diffidenza, con cui si può essere rilassati e pieni dei propri difetti, sinceri. Persone con cui sai di poter parlare di qualsiasi cosa. E poi immagino una musica davvero bella in sottofondo, un bicchiere di vino in mano, e le risate di cuore, di quelle che sfiniscono, e le lacrime vere, di quelle che si versano quando l’anima deve guarire, e le opinioni su qualche libro che si è letto ultimamente, o su qualcosa che è capitato, o su una stupidaggine fatta o detta, e i discorsi sugli incontri, sugli amori, sull’idea che ci si è fatta delle persone e su quelle persone che questa idea l’hanno stravolta senza appello. E poi immagino un divano, una luce calda, e le debolezze che emergono e che non fanno altro che farci sentire più uniti, perché tutti siamo un po’ ingenui, un po’ stupidi, un po’ egoisti, un po’ cazzoni, un po’ stronzi, un po’ insicuri e un po’ restii a confessare anche a noi stessi tutti questi lati di cui non andiamo fieri, però non importa perché la perfezione non è di questo mondo, checché ne dicano, e ci sembra molto più importante trovare un senso a noi stessi e alla nostra vita piuttosto che perdere tempo a voler essere qualcos’altro. E trovare un senso significa, immagino a questo punto, non preoccuparsi delle cadute che si faranno, dei mondi che ci crolleranno addosso in questo universo di salite e bivi, ma fare attenzione a non perdere sé stessi nei labirinti che spaventano, e allora l’immagine è quella di prima, quella in cui chi mi circonda lo fa per sorridermi e specchiarsi nel mio, di sorriso, in cui c’è tutto, tutto quello che forse sarà, un nucleo di partenze e ritorni, di pelle che si tocca, di parole, d’amore, di lotte e abbandoni, di stanchezza, di slanci tenaci, di dolore, di gioia, di vita vissuta e da vivere insomma, e la perenne instabilità di un’esistenza che nonostante tutto non ha niente di definitivo, e allora legarci almeno all’umanità di chi ci cammina accanto, anche a grande distanza, anche se a tratti, è tutto quello che possiamo fare per essere felici.