Dormo così bene, poi.

Il fatto di arrivare alle dieci di sera esausta, con il sonno che chiude gli occhi come succedeva quando ero bambina e cancella ogni altro bisogno diverso da quello di affondare la testa nel cuscino, anche la rincorsa ai sogni che normalmente è inevitabile, e il fatto che questo fatto si ripeta per giorni e poi per settimane, in cui il sonno è profondo e totale, e senza stelle da contemplare, ma con mattine fresche che iniziano alle sette o giù di lì quasi senza bisogno di sveglia, ormai, ecco questo fatto qui, mi sono accorta, impedisce il mio tradizionale pensare notturno, che solitamente si colloca in un orario che varia dalle 24 alle 3 di notte, e che produce introspezioni schizofreniche e soliloqui silenziosi, viaggi profondi e angoscianti a volte, in cui le paure si moltiplicano e si ingrandiscono, ma così anche le consapevolezze – o almeno così pare – e le domande e le ansie si rincorrono e le voci e i ricordi si consolano e si stringono, poetici, e la realtà e i desideri si intersecano e si nutrono e si cullano e viaggiano seguendo un percorso sempre meno lucido e sempre più vorticoso fino ad arrivare al dormiveglia – allucinatorio, potrei dire – e al sonno. Ed è in questo spazio di pensiero tremante e buio e consolante e angosciante che a volte sono nati anche i post di questo blog. Ma ne sono nate molte più cose che ora sono chiuse in un cassetto, reale e metaforico, e che probabilmente nessuno leggerà mai.

Il punto è che il movimento, di cui ho parlato non so più quanti post fa, ha su di me l’effetto di ridurre lo spazio per pensare. E per movimento intendo cambiamento, tempo che scorre, volti, vita proiettata fuori più che dentro, e per pensare intendo guardarmi allo specchio metaforico del mio sentire, proiettare lo sguardo dentro, pesarmi, misurarmi, in relazione alla me passata, presente e quella che vorrebbe essere futura, in relazione poi anche a chi mi sta intorno, a quello che riflettono di me in loro – e sì, è tutta autoreferenzialità, ma io mi peso e mi misuro e mi riguardo sempre, e mi giudico, mi illudo di capirmi per migliorarmi. Spesso lo faccio di notte, quando non riesco a dormire, quando il silenzio di fuori mi fa sentire meglio i rumori di dentro o così spero.

Ora sono in movimento, un po’ affaticata tra l’altro. E questo riduce il pensare e quindi il pesarsi e il misurarsi eccetera. Che poi è quello che ho invocato. Per cui non ho il diritto di lamentarmi, e infatti non lo faccio, per carità, dormo così bene poi!, quante volte ho detto di volermi tenere occupata e pensare meno, per evitare di avvitarmi alle ombre. Giusto, salutare, ridurre lo spazio per il pensiero.

(Ma durerà poco. Anzi, è già durato troppo. Testa, cuore e stomaco concorrono a chiedere con insistenza sempre maggiore un eremitaggio di durata indefinita, si sente proprio il bisogno che vibra, posso quasi vederli, i miei occhi un po’ smarriti, che dopo un istante tornano presenti – ma le unghie corte non fanno tanto presto a ricrescere.)

(Sono un animale bizzarro e incontentabile, me ne rendo conto. Cerco appigli – scrivo di getto – cerco appigli anche scrivendo di getto post parecchio campati in aria mentre dovrei essere a fare tutt’altro – cerco appigli.)

Pubblicità