Verso la laurea e oltre

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(via Gli Scarabocchi di Maicol&Mirco)

Il 21 di questo mese discuterò la mia tesi di laurea in Critica letteraria e letterature comparate, dal titolo L’Età della lettura e la questione del Lettore Modello. Dopodiché sarò ufficialmente dottoressa e disoccupata, e potrò finalmente abbandonarmi anch’io alle vacanze e all’horror vacui. Gioite con me!

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Ottobre, 9

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Il giorno in cui ho superato –  e molto meglio di quanto sperassi – il mio ultimo esame – non di quest’anno, ma dell’intero corso, e spero anche dell’intera mia carriera universitaria – ho inviato un sms a una cara amica che non vedevo da tempo, la stessa con cui ho brindato la sera del mio ultimo esame di triennale, la quale mi ha dato precise indicazioni: bevi; e poi canticchia tra te e te: “che sensazione di leggera follia…”. Ho convenuto che in effetti non la si poteva contraddire.

Ho iniziato con il secondo punto, ma al primo non ci sono arrivata, non subito: quella sera sono rimasta spalmata sul divano di casa di Prince, vale a dire l’uomo che mi sopporta da più di un anno a questa parte, a guardare la tv e ad addormentarmi sulla sua spalla.

La bevuta di rito si è avuta la sera successiva, sempre con la cara amica, che è ormai ufficialmente colei che mi offre la birra quando finisco gli esami (e ora, ripeto, spero basti). Una bella serata di ottobre, fatta apposta per festeggiare – per rivedersi con la scusa di festeggiare, e per scherzare e per raccontarsi, e che poi diventa piena di discorsi su cose importanti, tipo le prospettive, tipo il futuro, tipo le relazioni, le situazioni difficili, le sofferenze provocate senza volerlo, l’amore che si da come si può, la rabbia, gli errori, le idee che si cambiano, e quelle che non si cambiano. Queste cose umane, queste cose – mi viene da dire- un po’ da grandi.

Queste cose che non ti aspetteresti di affrontare la sera che sei seduta su un gradino nel rione Monti a celebrare, come un rito, la fine degli esami, e che dovrebbe essere spensierata, leggera, e tutta tua; ma poi ci pensi e invece è proprio la sera giusta, perché la fine degli esami – di questi esami – è soltanto l’inizio di qualcos’altro – qualcosa, mi viene da dire, un po’ da grandi. E se quella sera di tre anni fa, quella passata sempre seduta su un gradino, ma da un’altra parte di Roma, a San Giovanni, sotto casa di cara-amica, perché andare più lontano era impossibile per la stanchezza appesa addosso come un panno bagnato, se quella sera è stata sì spensierata, leggera, mia, forse è perché  il futuro sembrava ancora lontano, e così i discorsi seri, le prospettive, e persino gli altri, l’altro da me, che invece ora è così vicino, pare. Forse stiamo (sto) diventando (un po’?)  grande.

Intanto, mi segno questa data (noveottobreduemilaquattrodici), e il prossimo obiettivo è la tesi, e per non smentirmi mai sono indietro in modo pauroso (giusto per dimostrare a me stessa che, tutto sommato, dovrei ancora lavorarci su questa faccenda del diventare grande). Credo di essere stanca, e nonostante questa volta mi sia scelta sia il relatore che volevo da sempre, sia l’argomento, ci sono momenti in cui pregherei di allontanare da me questo amaro calice e lasciarmi laureare in santa pace con una tesi sulle merendine. Ma pare non si possa, quindi mi faccio forza pensando che se sono riuscita a superare un esame di latino con il massimo dei voti ora posso tutto, anche scrivere una tesi, che per di più mi piace, senza averne la minima voglia e a tempo record!

Spero.

[Per fortuna c’è una spalla su cui posso riposarmi.]

Addio 2012: un post lungo un anno

[Nel senso che impiegherete un anno a leggerlo tutto, se ne avrete il coraggio. Se non ce la farete sappiate che non vi biasimerò, ma ci ho messo due giorni a scriverlo e adesso non lo taglio neanche se mi minacciate. Il mio è un blog prolisso, talvolta, sappiatelo].

30 dicembre 2012. La fine dell’anno si avvicina e l’unico proposito per l’anno nuovo che mi faccio è che alle vacanze natalizie del 2013 non ci provo neanche, a studiare: dormo, leggo e me ne vado a spasso, e basta. Cosa che comunque sto facendo, a parte l’andare a spasso, ché quello me lo sono proibito, un po’ per costringermi a studiare (inutile dire l’inutilità), un po’ per riposarmi, perché i giorni precedenti al Natale sono stati abbastanza caotici – più del solito, intendo. Ho girato come una trottola, e solo in minima parte per i regali dell’ultimo minuto (ché io i regali, da anni, non li faccio quasi a nessuno, e in linea di massima preferisco regalare qualcosa fatto a mano, o simbolico, o veramente utile, che poi sono anche i tipi di regali che preferisco ricevere). Le feste, poi, passate in completa immersione nella ciurma familiare, e i loro lunghi, oziosi pomeriggi di stasi mi hanno stancato paradossalmente di più. All’attività (anzi, all’attivismo, che finisce in -ismo come tutte le cose brutte), mi ci sto quasi abituando, in barba alla mia flemma; alla noia e alle chiassose riunioni familiari no, se combinate alla stanchezza non si reggono. Per cui dopo Natale mi sono dedicata a un (in)sano riposo, più mentale che fisico; solo che inattività tira inattività, pigrizia chiama pigrizia, e insomma io se mi fermo un attimo non mi ripiglio più. Quante volte avrò parlato di questa mia schizofrenia? Se mi muovo non va bene, ma se mi fermo sono perduta. Ormai, alla veneranda età di 23 anni (due mesi quasi esatti ai 24, argh) sto forse, e dico forse, imparando a conoscermi.

E in nome di questa mia rinnovata autocoscienza, chiarisco subito che i buoni propositi per me valgono più o meno quanto foglie secche. Anzi, più meno che più: almeno, quando sono disperse nel vento e io le guardo dalle finestre della mia casetta nella foresta di Sherwood, hanno una loro poesia, le foglie secche (e ci tengo a sottolineare che ho scritto Sherwood senza guardare su Google, e la cosa mi fa dare metaforiche pacche sulle spalle da sola. Pessima.)

Per cui, so già che, nonostante il buon proposito di non tentare nemmeno di studiare alle prossime vacanze, lo farò. Anche perché, come in questo caso, probabilmente starò preparando gli esami di gennaio (ahah! Preparare, quale oscura e indegna abitudine è questa, che presuppone un impegno precedente alla settimana prima dell’esame in questione?).

Perché, ebbene sì, ho ricominciato a studiare. Ci eravamo lasciati che mi ero laureata, e stiamo parlando di marzo di quest’anno, non proprio ieri. Ecco, a proposito di bilanci e altre baggianate: quest’anno mi sono laureata. Non male da dire, pare quasi una roba che vale qualcosa. Coi parenti, comunque, fa sempre effetto.

Ma dicevamo, ho ricominciato. Dopo un periodo più o meno lungo in cui ho meditato se non sarebbe stato meglio cominciare a lavorare in un call-center subito anziché aspettare altri due o più anni, per di più sborsando altro denaro, ho deciso che tutto sommato sarebbe stato meglio invece completare gli studi, se non altro per avere buoni argomenti di conversazione con cui intrattenere le persone in attesa di un operatore più esperto. Poi c’è anche il piccolo dettaglio che il mio relatore mi aveva caldamente consigliato di continuare, e un motivo ce l’avrà anche avuto. Per questi e altri motivi, quindi, mi sono iscritta alla laurea specialistica in Lingua e letteratura. Studi italiani ed europei, che, a dispetto del nome poco comprensibile, non è altro che la naturale prosecuzione della mia triennale in Studi italiani. Insomma, sempre di Lettere moderne si tratta (e per Lettere moderne, lo ripeto, intendo letteratura, non lingue. Non so perché le persone continuino ad essere convinte che io studi lingue. Per quanto, anche sullo studiare letteratura avrei i miei dub… vabbè, lasciamo stare).

Sempre Roma, sempre Sapienza. Eh si, dev’essere sindrome di Stoccolma. Solo che adesso non vivo più nella metropoli, ma faccio avanti e indietro da casa mia, quando posso; quando non posso studio a casa, o almeno questo è il piano. Il non trascurabile dettaglio del non avere una casa in affitto a Roma si tradurrà in un aumento esponenziale di stress da viaggio-in-autobus-Cotral che riverserò immancabilmente su queste pagine, sappiatelo. Da ottobre ad oggi la situazione si è risolta in un paio di giorni alla settimana, per un totale di 8 ore di viaggio, ma non sarà sempre così facile: il secondo semestre si prevede bello incasinato. Ma a questo ci pensiamo a tempo debito.

Eliminati dunque i buoni propositi di fine d’anno, che del resto ho smesso di fare più o meno da quando avevo 13 anni, o che più probabilmente non ho mai fatto (in compenso mi ci sono riempita la testa in altri periodi dell’anno – non che questo abbia significato neanche lontanamente realizzarli), possiamo passare ai bilanci? Ma anche no. Perché farlo? Che c’è da bilanciare? L’anno scorso di questi tempi o giù di lì scrivevo che il 2011 tutto sommato era stato un bell’anno: né completamente positivo, né completamente negativo, il che andava benissimo. Infatti.

Anche il 2012 si può descrivere così, per quanto mi riguarda. Volevo fare tante cose, pensavo che ci fossero delle priorità; poi mi sono trovata a farne altre, a rivalutare un po’ cos’è importante per me. A cambiare punto di vista, o almeno a provarci.

Qualche giorno fa stavo guardando un film in cui uno dei personaggi diceva che quando ci succedono le cose veramente importanti della vita, noi non ce ne rendiamo subito conto. Ce ne accorgiamo solo dopo. Lì per lì questi eventi ci capitano, ci passano sulla testa, e soltanto a distanza di tempo riconosciamo che sono i momenti che ci hanno cambiato la vita.

Io mi sono trovata abbastanza d’accordo, in linea di massima. Ma a volte, magari raramente, ci sono cose che ci succedono, che ci piombano addosso inaspettatamente, a cui siamo impreparati, e può darsi che proprio per il loro essere così strane e inaspettate ci colpiscano forte, così forte che lì per lì magari non pensiamo proprio che ci cambieranno la vita, ma che una bella botta ce l’hanno data, questo sì. Questa era proprio forte, magari pensiamo. E non deve essere necessariamente un grande evento, un trauma, un’esperienza particolare. Magari è solo un incontro, un’immagine, una parola – ci pensate, una parola? Una cosa così piccola e inconsistente.

Ecco, credo che a me quest’anno sia successo. Per cui è da qualche mese che sto cercando di seguire la strada che questa botta mi ha dato, il che spiega anche l’inusuale scarsità di chiacchiere da blog in alcuni mesi. E proprio il blog ho virtualmente sfogliato, in questi giorni, per vedere un po’ dove fosse finito il 2012. E sapete che vi dico? A me vivere un po’ tra le stanze di questi castelli piace. Mi sono quasi commossa a camminarci dentro, a rileggere cose che sembrano lontanissime e risalgono solo a pochi mesi fa. Mi piace ritrovare cose che avevo dimenticato non solo di aver scritto, ma anche di aver pensato, ed è come se le scoprissi per la prima volta, come se le avesse scritte un’altra persona. Apperò, ho pensato, a qualcuno serve ‘sto blog. A me.

Per questo volevo anche dire che quest’anno ho pure ricevuto un’onorificenza ampiamente immeritata. Trattasi della spilletta di Blog Affidabile che mi ha appuntato la proprietaria di una certa Moleskine ormai mesi fa – e converrete con me sull’ironia della cosa: dare al mio blog dell’affidabile poteva venire in mente solo a quel gran cuore di Dorotea. Infatti, tanto per rimarcare la cosa, non solo non ne ho fatto menzione ma non ho neanche seguito la prassi richiesta per meritarsi fino in fondo il premio, e cioè dedicare alla faccenda un post e nominare a mia volta altri affidabili. Però sono stata coerente e la spilla non me la sono ancora appuntata. Non l’ho fatto, in realtà, proprio perché non potevo rispettare fino in fondo le semplici regole previste: in quel momento latitavo, e quando ho avuto tempo e testa per tornare a scribacchiare mi sono accorta che diversi blog a cui avrei voluto appuntare la spilla avevano chiuso, purtroppo, i battenti, o latitavano molto ma molto più di me, o erano gli stessi che avevano nominato me (cioè, lo stesso; e avevo i miei dubbi che si potesse restituire l’onorificenza al mittente) o che avevano già la spilla e non avrebbe avuto senso conferirgliela nuovamente, se l’obiettivo è far conoscere nuovi blog. Il punto era che io, di nuovi blog, non ne conoscevo; e per la prima volta da tempo ne leggevo (e ne leggo) pochi, pochissimi, per vari motivi. Ergo, mi appunterò la spilletta solo quando finalmente avrò anch’io la mia vera lista di affidabili; il che potrebbe anche non valere niente, come proposito (per l’appunto), dato che a quel che ho capito è un’iniziativa che si ripete ogni anno e quella del 2012 ormai è andata. Ma a Dorotea almeno il buon proposito lo devo. Se non altro perché mi ha fatto riflettere sull’utilità di uno strumento, il blog (che quest’anno ha compiuto cinque anni, per giunta) che sì, per quanto mi riguarda serve prima di tutto alla sua autrice, alla sua necessità di specchiarsi in sé stessa e negli altri; ma a quanto pare un po’ anche agli altri serve, e del resto il bello di scrivere è anche e soprattutto farsi leggere.

Ciononostante, ho lasciato un po’ di cose in sospeso nel blog – sempre parlando di affidabilità. Però prometto solennemente – altro buon proposito – di chiudere tutti gli argomenti aperti al più presto.

Insomma, non dovevo fare buoni propositi e li ho fatti; non dovevo fare bilanci, e anche quelli, invece, ci sono. Perché, tutto sommato, quest’anno ho l’impressione di aver iniziato ad imparare molte cose. Solo iniziato. Per impararle davvero ci vorrà un po’, ma iniziare è già qualcosa. Ho fatto e visto tante cose. Ho scalato montagne metaforiche, e ne ho scalato pure una vera, di 2000 metri, che per me è una cosa da andarci fierissima. Ho incontrato persone, cercando di incontrarle davvero e non solo in superficie. Ho iniziato a lasciar andare altre cose, a perderle, se mi impediscono di essere felice; a svuotarmi. Ho collezionato definizioni e decisioni, e anche soddisfazioni. Ho preso quello che sono e l’ho spinto avanti, a volte vincendo la paura, o forse l’insicurezza, e sono stata a vivere l’effetto che fa. E vivremo l’anno prossimo che effetto continuerà a fare.

Invece adesso, in questo preciso momento, non mi resta che preparare la borsa per un paio di giorni che passerò fuori casa da amica MF, che ha deciso di scuotermi dal torpore e di portarmi a vedere i fuochi d’artificio romani la notte di Capodanno. Brava ragazza. Io avevo quasi la tentazione di passarla sul divano davanti al caminetto, circondata di cioccolata e di poche, scelte persone note per la loro tranquillità (ma chi?), nel completo silenzio, fatta eccezione per le voci dei protagonisti di Harry ti presento Sally mandato a ripetizione. Ah, che pace. Ah, che misantropia. Guardalì le reazioni alla vita, alle volte.

Buon 2013.

Cose che (non) sto facendo – Prima puntata

Non ho molta voglia di scrivere, ultimamente. Ve lo dico perché magari non lo avevate capito. Mi piace parlare chiaro, ammé.

Però il blog arretrato fa tristezza. E poi il mio egocentrismo mi spinge inesorabilmente a sbrodolare addosso al prossimo tutti i dettagli della mia trascurabile esistenza, e dopotutto sto blog a che serve sennò? E quindi.

Quindi tempo fa scrissi che c’erano delle novità a proposito della mia tesi, che ci stavo ancora lavorando nonostante mi fossi ormai laureata. Parliamo di tre mesi fa, ma io me la prendo comoda – anzi, comodissima – quando non ho scadenze. Se non sono sotto pressione, io, non combino niente. Mi servono le minacce. Comunque, ci ho lavoricchiato su sta tesi, davvero poco perché dovevo modificare due scemenze, e adesso è pronta. Testo definitivo, rilegatura definitiva, non ci si mette più mano. Il mio relatore ha visto, sottoscritto e approvato. Mi ha dato l’indirizzo e sommarie indicazioni su come dovrei scrivere la lettera d’accompagnamento – mi mandano in crisi, ‘ste cose, e dire che scrivere dovrebbe essere l’ultimo dei miei problemi.

Ma insomma, che ci devo fare con questa tesi? Presto detto: a breve (cioè quando avrò messo insieme una lettera che non faccia schifo) la copia riveduta e corretta con tanto di rilegatura in seta verrà spedita al direttore del Centro Nazionale di Studi Leopardiani di Recanati, ovvero il principale centro di studi su Giacomo Leopardi al mondo. Questo centro iperspecializzato ha una biblioteca in cui vengono raccolte tutte le pubblicazioni degne di nota su Leopardi di cui si abbia notizia ed è frequentata da studiosi italiani e stranieri (o almeno, così dicono). Insomma: il mio relatore vorrebbe che la mia tesi venisse inserita in questa biblioteca, e quindi io, fiduciosa, invio. Inutile dire che è un onore, soprattutto perché è una tutto sommato misera tesi di triennale, scritta in pochi mesi da una che fino a qualche anno fa di Filologia non aveva neanche sentito parlare e ancora oggi è ben lungi dall’essere un’esperta di Leopardi. Non sono una studiosa, né una professoressa e continuo ad essere sinceramente perplessa di fronte alla faccia soddisfatta del mio relatore, ma mi fido di lui, che non è propriamente l’ultimo venuto; per cui procedo – e già immagino il mio plico rosso infilato nell’angolo più remoto dello scaffale più alto a prendere polvere per i prossimi decenni, o in alternativa usato come zeppa per il tavolo. Ma già quello sarebbe tanto (Non crederai mai a quello che sto per dirti! La mia tesi su Leopardi in questo momento sai dov’è? Infilata sotto la gamba del tavolo del portiere del Centro Nazionale di Studi Leopardiani! Ma ti rendi conto?) Insomma, sono contenta. Anche se non la dovesse leggere nessuno all’infuori del direttore (soprattutto perché il direttore in questione è – manco a dirlo – uno dei maggiori studiosi italiani di Leopardi e lo cito più volte anche nel mio lavoro), è una notizia di quelle adesso telefono a tutti e lo scrivo sui muri. E infatti la mattina in cui mi fu comunicata procedevo a balzelloni mentre parlavo al telefono con la mia mamma, che lì per lì non aveva propriamente afferrato la portata della cosa.

lamiamamma: Ah, ma quindi ci devi lavorare ancora… (tono sconsolato da “povera figlia mia”).

me: Mamma… ma chissenefrega?! Hai capito quello che ti ho detto?…

Aveva colto solo il lato “altro lavoro da fare per lei” della cosa. Strano come funzioni la testa delle mamme, a volte.

E questa era la famigerata notizia che dovevo dare ormai da mesi.

Nel frattempo però ho fatto anche altro. Essendo una dottoressa disoccupata in attesa di capire, fra l’altro, cosa fare della propria vita, ho pensato che almeno fosse il caso di tenersi impegnata per non stare in casa a fare la muffa. Già, ma cosa sto facendo quindi? Lo scopriremo nella prossima puntata di Cose che (non) sto facendo, la fiction estiva di Castelli in aria. A presto – spero.

Dottore’

Scena iniziale: la sveglia suona alle sei. Sarà una lunga giornata. La mia prima tappa è la cucina: oggi voglio fare colazione in santissima pace. Il resto della famiglia si sveglia a rate e deambula per casa in stato semicomatoso. Poi chi corre per accaparrarsi il bagno, chi cammina a ritmo di musica caraibica… Non si sa bene perché ma a un certo punto iniziamo tutti a ridere. 

Il primo e il più grande dei miei grazie va alla mia famiglia, che è la mia vera forza e la mia roccia: non potrei neanche immaginare di essere qui senza di loro.

A M. F., la migliore compagna di strada che si possa desiderare. Senza di lei sarebbe stato tutto più difficile, e non parlo solo della ricerca di un tetto nei miei vagabondaggi da fuori sede.

L’amicizia però è anche quella che resiste al tempo e alla lontananza: grazie a M., L. e V. per avermi fatto scoprire cosa significa crescere insieme, e per ostinarsi ad avere un’opinione troppo alta della sottoscritta.

Un grazie a coloro che hanno avuto fiducia in me: è un regalo prezioso che spero di essermi meritata.

Un grazie anche a coloro che mi hanno incoraggiata a scegliere di fare ciò che amo, a volte senza neanche saperlo: probabilmente mi hanno accompagnata su una via difficile e più che mai precaria, ma almeno sono una persona senza rimpianti.

Grazie a chi ha condiviso con me questi anni universitari: è stato bello ridere, piangere, sfinirsi, sostenersi e irriducibilmente appassionarsi con voi. Grazie anche a chi ha contribuito alla bizzarria di un certo appartamento, che sono sicura a qualcuno manca come a me.

Devo ringraziare anche coloro che, volendo o meno, mi hanno posto degli ostacoli davanti: mi hanno insegnato su me stessa molte più cose di un sincero amico.

Un ringraziamento particolare va ai nonni, la cui presenza diamo troppe volte per scontata e il cui sostegno è invece fondamentale: soprattutto alla mia nonna, che mi ha insegnato l’importanza della memoria, e al mio nonno, che avrei voluto fosse qui. Purtroppo non c’è, ma non credo sia poi così lontano.

Stralci di ringraziamenti della tesi, dovuti.

Sì, lo so che è passata una settimana intera, ma sono stata un po’ impegnata; anzi, pare proprio che io sia più affaccendata ora di prima. Ma non durerà molto – spero: un po’ di riposo, poco, pochissimo, vorrei godermelo.

Sappiate però che è andato tutto bene: stranamente nulla è andato storto, la giornata è stata bellissima sotto tutti i punti di vista e io sono stata con le persone a cui tengo.

Leggerezza.

Il voto finale si è attestato sul 110 e lode, sono orgogliosa di dirlo, che diamine. Ma non finisce qui: nei prossimi tempi lavorerò ancora un po’ alla tesi. La storia del relatore che mi chiede se l’ho scritta da sola ha un motivo – bello, niente paura: a quanto pare il lavoro è piaciuto. Vi dirò qualcosa in più a cose fatte.

Scena finale: davanti a una gelateria buonissima, nel sole delle quattro del pomeriggio. Un quasi esasperato Emilio Solfrizzi mi fa le congratulazioni dopo che mia zia gli ha ripetuto tre volte che mi sono laureata. Cose che.