Ottobre, 9

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Il giorno in cui ho superato –  e molto meglio di quanto sperassi – il mio ultimo esame – non di quest’anno, ma dell’intero corso, e spero anche dell’intera mia carriera universitaria – ho inviato un sms a una cara amica che non vedevo da tempo, la stessa con cui ho brindato la sera del mio ultimo esame di triennale, la quale mi ha dato precise indicazioni: bevi; e poi canticchia tra te e te: “che sensazione di leggera follia…”. Ho convenuto che in effetti non la si poteva contraddire.

Ho iniziato con il secondo punto, ma al primo non ci sono arrivata, non subito: quella sera sono rimasta spalmata sul divano di casa di Prince, vale a dire l’uomo che mi sopporta da più di un anno a questa parte, a guardare la tv e ad addormentarmi sulla sua spalla.

La bevuta di rito si è avuta la sera successiva, sempre con la cara amica, che è ormai ufficialmente colei che mi offre la birra quando finisco gli esami (e ora, ripeto, spero basti). Una bella serata di ottobre, fatta apposta per festeggiare – per rivedersi con la scusa di festeggiare, e per scherzare e per raccontarsi, e che poi diventa piena di discorsi su cose importanti, tipo le prospettive, tipo il futuro, tipo le relazioni, le situazioni difficili, le sofferenze provocate senza volerlo, l’amore che si da come si può, la rabbia, gli errori, le idee che si cambiano, e quelle che non si cambiano. Queste cose umane, queste cose – mi viene da dire- un po’ da grandi.

Queste cose che non ti aspetteresti di affrontare la sera che sei seduta su un gradino nel rione Monti a celebrare, come un rito, la fine degli esami, e che dovrebbe essere spensierata, leggera, e tutta tua; ma poi ci pensi e invece è proprio la sera giusta, perché la fine degli esami – di questi esami – è soltanto l’inizio di qualcos’altro – qualcosa, mi viene da dire, un po’ da grandi. E se quella sera di tre anni fa, quella passata sempre seduta su un gradino, ma da un’altra parte di Roma, a San Giovanni, sotto casa di cara-amica, perché andare più lontano era impossibile per la stanchezza appesa addosso come un panno bagnato, se quella sera è stata sì spensierata, leggera, mia, forse è perché  il futuro sembrava ancora lontano, e così i discorsi seri, le prospettive, e persino gli altri, l’altro da me, che invece ora è così vicino, pare. Forse stiamo (sto) diventando (un po’?)  grande.

Intanto, mi segno questa data (noveottobreduemilaquattrodici), e il prossimo obiettivo è la tesi, e per non smentirmi mai sono indietro in modo pauroso (giusto per dimostrare a me stessa che, tutto sommato, dovrei ancora lavorarci su questa faccenda del diventare grande). Credo di essere stanca, e nonostante questa volta mi sia scelta sia il relatore che volevo da sempre, sia l’argomento, ci sono momenti in cui pregherei di allontanare da me questo amaro calice e lasciarmi laureare in santa pace con una tesi sulle merendine. Ma pare non si possa, quindi mi faccio forza pensando che se sono riuscita a superare un esame di latino con il massimo dei voti ora posso tutto, anche scrivere una tesi, che per di più mi piace, senza averne la minima voglia e a tempo record!

Spero.

[Per fortuna c’è una spalla su cui posso riposarmi.]

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Settembre, 1

Fuori piove.

Nostalgia non so bene di che.

Sorrisi strani, un po’ malinconici, un po’ misteriosi.

Leggerezza ubriaca, che danzando sulle punte mi attira verso solitudini interiori.

Ho freddo sulla fronte. Me ne accorgo solo quando ci appoggio la tazza ancora calda del tè che ho appena bevuto. Che strano sabato, così sospeso.

Credo di essermi innamorata – platonicamente, però.
Di chi (o di cosa) dovrei saperlo, ma non è poi così scontato.

E così c’è questa gioia triste che non so bene come interpretare – all’ossimoro non si sfugge e me lo tengo.

Il mio agosto è finito e inizia settembre, il mese delle decisioni, dei propositi, delle partenze. Degli inizi, appunto.

Ma fuori non piove, a ben vedere, non ancora: c’è solo un cielo grigio e un vento fresco.

 

 

Nota a margine: il 16 agosto di quest’anno Castelli in Aria ha compiuto 5 anni. Anche se quando è nato aveva un altro nome. (Non importa, sono sempre io). Quando me ne sono accorta sono stata molto sorpresa. Cinque anni non sono mica pochi, anche se sono passati sparando scemenze. Per festeggiare, auguro a tutti quelli che transitano da queste parti di non dimenticare mai di costruire i propri castelli in aria, che non sono utopie irrealizzabili bensì i nostri desideri, le nostre aspirazioni, i nostri Sogni con la S maiuscola. Sono gli atti d’amore che compiamo verso noi stessi e verso la vita. Senza, appunto, non si è vivi.

Ma che freddo fa (cit)

Niente, chevidevodire, io in questo periodo non ho parole. Il che è ben strano data la mia celeberrima logorrea. Questo blog è destinato a un ostinato ma riflessivo silenzio, non c’è rimedio.

Sono tornata dopo una settimana romana trascorsa a scrocco dall’amica MF, santa lei.  Settimana passata a: superare il terz’ultimo esame, parlare nervosamente con il relatore, curiosare tra le bancarelle di Piazza Navona che me le sogno da giorni, ringraziare il cielo che esistano ancora persone come la mia nuova tutor, mangiare al McDonald con un amico universitario che non avrebbe dovuto neanche guardarlo, il McDonald, e invece non mi ha lasciata sola a pranzo, attraversare il colonnato della basilica di San Pietro e pensare che è fin troppo grandiosa, giocare a “di chi è questa coperta?” con il cane della mia ospite, assistere a 5 dico 5 lauree di amici e conoscenti, cercare un regalo di laurea per una persona che mi vuole più bene di quanto mi meriti, e la stessa cosa pare faccia la sua famiglia, e li ho conosciuti solo quel giorno!, camminare tantissimo, sentire freddo alle gambe mentre il motorino evita il traffico, girellare nella Coin di via Cola di Rienzo e credere di essere in un centro commerciale americano anni ’80-’90, e per rimanere in tema guardare C’è posta per te prima di andare a letto, rammaricarsi per la presenza di tende alle finestre delle guardie svizzere, rivedere dopo mesi un’amica che mi mancava davvero troppo e scoprire che finalmente qualcosa sembra andar bene, riuscire a prendere un 19 il giorno dello sciopero anche grazie ad un ragazzo con la r identica alla mia, parlare un sacco con MF che mi fa scegliere sempre i film da vedere e la mattina mi prepara il caffè.

E in tutto ciò, ma questo risale a due settimane fa, ad incontrare la padrona di una Moleskine che, se a voi sembra molto bella dentro, adesso sappiate che è bella anche fuori, fidatevi di me che ce lo so.

E oggi sono qui che mi difendo dal freddo, mi copro e mi riscaldo, e intanto arrivo a un nuovo livello di compresenza nel cuore di emozioni contrastanti e complementari, rifratte in direzioni quasi schizofreniche da un nucleo centrale buio e profondo di cui non so niente o forse credo di non sapere, il tutto inspiegabilmente avvolto da una nuvola di quieta indulgenza, quasi indifferenza, o forse solo dalla serenità di chi crede che non serva arrovellarsi più di tanto sulle capacità che ha il suddetto cuore di vivere e trasformarsi e rigenerarsi e conoscersi e a volte pure un po’ di perdonarsi.

E in questa atmosfera di nostalgia per cose viste e vissute e sentite e altre invece solo immaginate o sognate, ascolto una canzone che ha la mia età e che fa così:

http://youtu.be/UAOxCqSxRD0

Nobody loves no one.

Varie cose illuminate

Questo è il post numero trecento di questo blog. E questo blog è in vita da circa quattro anni, solo l’ultimo dei quali su WordPress. Una parte degli eventi della mia vita e di quello che mi è passato per la testa in questi anni si trova sulle inesistenti pagine di questo anomalo diario pubblico. Il che, tra l’altro, mi porta a riflettere su quanta parte delle nostre vite sia virtuale, quanti pezzi della nostra memoria siano intangibili, e rischino di andare facilmente perduti – forse sbaglio, ma mi è successo e non credo di essere l’unica.
Ma questa è un’altra storia.

Quello che volevo dire è che, insomma, attraverso qualcosa di così apparentemente inconsistente si possono rintracciare parti di vita che si erano, magari, dimenticate. Qualche giorno fa mi è capitato anche di riaprire per caso cartelle sepolte nel mio computer da tempo immemore. Ho visto cose che voi umani, e che io stessa non ricordavo di avere scritto, o fatto; tra l’altro ho riscoperto un passato pericolosamente vicino al bimbominkiese nelle cose scritte a diciotto, diciannove anni, che forse farei bene a tenere segreto – e immagino che a quell’epoca scrivessi meglio di quando ne avevo quattordici, di anni. Brividi.

Ho recuperato foto delle gite, video che potrebbero essere oggetto di ricatto (niente di scabroso, solo la pericolosa somiglianza a un cammello nel masticare la gomma, fortunatamente), conversazioni salvate secoli fa. Mi sono ricordata di che anno speciale sia stato il 2008.

Avevo diciannove anni, e i miei diciannove anni sono stati abbastanza stravolgenti. Quell’anno ho preso la patente (e per una che vive fuori da ogni centro abitato, vi assicuro, è una svolta), ho affrontato l’agognata maturità e mi sono diplomata, ho completato un percorso spirituale e umano per me fondamentale, mi sono innamorata per la prima volta, tanto profondamente quanto vanamente (come ogni storia romantica che si rispetti), mi sono iscritta all’università, sono andata a vivere in una grande città e ho conosciuto un mondo nuovo e decisamente enorme ai miei occhi.

Mi ricordo bene quell’anno e la continua altalena di emozioni che lo hanno accompagnato: sono stata incredibilmente felice o inconsolabilmente triste, totalmente spensierata o profondamente preoccupata, o addirittura spaventata, ho fatto un lavoro di analisi su me stessa da cui ancora adesso cerco di trarre conclusioni. Forse mai come in quell’anno mi sono aperta a me stessa. Ero un miscuglio di molte cose.

Rileggermi, riguardarmi, mi ha fatto tenerezza. Non che siano passate ere geologiche, solo tre anni, per certi versi nulla è cambiato, ma per altri invece la distanza sembra grande. Mi pare, stando a questi reperti, che non fossi poi male all’epoca – contrariamente alle mie convinzioni! Mi sto simpatica. Ho scoperto che ero una ragazza con cui forse mi sarebbe piaciuto trascorrere del tempo. Mi manca persino un po’ quella ragazza lì.

A diciannove anni ero diverse cose, ma soprattutto ero riflessiva, sognatrice ed emozionata – in tutti i sensi.

Ed ero molto amata, senza rendermene conto.
Probabilmente lo sono ancora.
E questo mi piace.