Altalene

Seduta davanti al computer, dove finalmente sta prendendo forma la mia tesi, ascolto musica anni Ottanta in cuffie enormi e viola, fuori il sole tramonta dopo aver riscaldato la giornata e a me viene voglia di ballare forte.

Loving would be easy if your colors were like my dream

Oscillo tra immersioni e trasvoli, tra ombra e luce, come su una lunghissima altalena, ma non ho dubbi sul fatto che sia tutto da fare, tutto da esperire, e che a ogni regressione può seguire un avanzamento, nessuno può impedirmelo tranne me stessa.

Why won’t you ever know that I’m in love with you?

Non voglio evadere dal mio corpo e dalla mia mente, non più, la mia vita non è una gabbia e io non sono prigioniera.

Ooh heaven is a place on earth

Ho paura, ma non abbastanza da rimanere ferma.

When you go you’re gone forever

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Trovare il posto

La scorsa notte ho sognato. Non è una notizia: come chiunque, sogno tutte le notti, ma a differenza di molti, ricordo quasi sempre quel che ho sognato, spesso con grande vividezza. Solitamente posso raccontare quel che ho sognato con una certa precisione. E sono sogni spesso lunghi, e articolati. A volte la sensazione dominante del sogno – ce n’è sempre una – mi rimane così attaccata addosso da condizionarmi tutta la giornata, e trascorro tutto il tempo che mi separa dal nuovo sonno con i fotogrammi che mi appaiono brevemente davanti agli occhi nei momenti più impensati, e con un sentimento così remoto da non sembrare mio che mi si appiccia dentro come una sostanza vischiosa che deforma ciò che vedo e che provo.

La scorsa notte ho sognato, ma non si è trattato di un sogno così intenso. In compenso, è stato un altro dei grandi classici del mio inconscio: mettere in scena una me stessa vista da fuori, una me stessa completamente – o, in ogni caso, molto –  diversa dalla realtà. Stavolta ero una liceale spigliata e menefreghista (cosa che non sono mai stata) che salta interi giorni di scuola senza preoccuparsi eccessivamente (men che meno) e che si fa beccare da un poliziotto con la sigaretta in bocca su un autobus (mai stata una fumatrice, tantomeno sugli autobus pubblici). Senonché, di fronte alle richieste dei documenti da parte del poliziotto, qualche rimembranza della “vita reale” sembra riemergere: nel sogno inizio a giustificarmi dicendo che è la prima volta che mi capita una cosa del genere, che in realtà sono una brava ragazza, che ho ottimi voti, che è un periodo così.

E dentro di me penso, ma come ho fatto a cacciarmi in questo casino? E però che diamine, penso anche; cosa ci sarà mai di tanto grave? Ma perché tutti si agitano tanto? In fondo ho avuto solo un po’ di sfiga, e che palle adesso dovermi giustificare, ma tutto sommato mi scopro a non pentirmi affatto di aver saltato la scuola, di essere andata in giro a fumare con le amiche, ma soprattutto di non essermi preoccupata di tutto questo, di fare qualcosa di sbagliato, di irreparabile.

Questo mio essere così deliziosamente incosciente, nei miei sogni, al contrario di come sono in realtà, dovrebbe dirmi qualcosa. Ma non è questo quello di cui volevo parlare. Il punto è un altro; è quel mio confondersi di realtà e sogno, nel momento in cui, di fronte alla prospettiva del casino che mi si profila davanti, inizio a ricordarmi di me stessa, e a chiedermi come è possibile che l’unica volta in cui vengo meno al mio autocontrollo, l’unica volta in cui mando al diavolo le regole,  ecco che proprio quell’unica volta, come nella migliore legge di Murphy,  mi beccano; proprio io che normalmente sono tutt’altro. E non mi riconosco più; sono confusa, perché non avrei mai pensato di poter essere così diversa. Che mi succede?, mi chiedo. Perché l’ho fatto? Come è possibile che io possa essere anche così?

Ecco, quella stessa domanda me la sono fatta oggi, poco fa. Del tutto lucida, senza alcunché di onirico. E mi è tornato in mente quel sogno all’istante. Perché, davvero, ci sono cose che mai avrei pensato di essere, e invece pare che lo sia. Proprio io che mi credevo tutt’altro. Proprio io che credevo mi venisse così facile, essere in un certo modo.

Proprio io che volevo, fortissimamente, essere tutt’altro, e pensavo solo di dover aspettare il momento in cui questa me sarebbe sbocciata, avrebbe trovato finalmente il posto, nell’incavo di un braccio, per esserlo.

“Più poesia del solito” (cit.)

Ahaahaahaahahahaaahahahhahhaa!

[Attenzione: il seguente oroscopo contiene più poesia del solito]. Gioiosa agitazione! Sorprendente liberazione! Prevedo che saprai smascherare gli inganni, e poi troverai il modo di uscire dal labirinto. Lucida irrazionalità! Visioni immortali! Prevedo che scoprirai un segreto che finora hai nascosto a te stesso, e poi ti libererai di un dilemma che non devi più risolvere. Misteriose benedizioni in arrivo dalle frontiere! Nuova fertilità generata da un sogno rinato! Prevedo che comincerai a sistemare un nuovo punto di forza per il futuro.

Mi faccio quattro risate? Sì, ma non strozzate e ciniche e doloranti, anzi, tutto il contrario. Se dovesse essere, che roba!  Qui c’è un gran pensare e riflettere e sentire, soprattutto, sentire e ascoltare con i sensi senza nome dello stomaco, del cuore, di quel che è. Per cui, se poi ce la facessi davvero a liberarmi e liberare qualche segreto, se mi accadesse di smascherare gli inganni -e quindi di smascherarmi -, se dovessi riuscire ad uscire dal labirinto, e se poi  – rivelazione! – dovessi anche far risorgere qualche sogno, insomma, lo sai, Rob, che stai molto sul pezzo?

E quindi, rido.

(Lucidamente, irrazionalmente, “come piace a noi” – cit. Marzullo, sarai fiero di me.)

Settembre, 1

Fuori piove.

Nostalgia non so bene di che.

Sorrisi strani, un po’ malinconici, un po’ misteriosi.

Leggerezza ubriaca, che danzando sulle punte mi attira verso solitudini interiori.

Ho freddo sulla fronte. Me ne accorgo solo quando ci appoggio la tazza ancora calda del tè che ho appena bevuto. Che strano sabato, così sospeso.

Credo di essermi innamorata – platonicamente, però.
Di chi (o di cosa) dovrei saperlo, ma non è poi così scontato.

E così c’è questa gioia triste che non so bene come interpretare – all’ossimoro non si sfugge e me lo tengo.

Il mio agosto è finito e inizia settembre, il mese delle decisioni, dei propositi, delle partenze. Degli inizi, appunto.

Ma fuori non piove, a ben vedere, non ancora: c’è solo un cielo grigio e un vento fresco.

 

 

Nota a margine: il 16 agosto di quest’anno Castelli in Aria ha compiuto 5 anni. Anche se quando è nato aveva un altro nome. (Non importa, sono sempre io). Quando me ne sono accorta sono stata molto sorpresa. Cinque anni non sono mica pochi, anche se sono passati sparando scemenze. Per festeggiare, auguro a tutti quelli che transitano da queste parti di non dimenticare mai di costruire i propri castelli in aria, che non sono utopie irrealizzabili bensì i nostri desideri, le nostre aspirazioni, i nostri Sogni con la S maiuscola. Sono gli atti d’amore che compiamo verso noi stessi e verso la vita. Senza, appunto, non si è vivi.

Orizzonte

Qualche settimana fa (parecchie, ormai) ho rivisto R., una ragazza conosciuta anni addietro in un campo vocazionale di cui i più antichi frequentatori di questo castello, quando era ancora in costruzione, hanno già letto. Una ragazza che come me se avesse potuto sarebbe andata a vedere la Polinesia, che chissà perché a quell’epoca ci attirava tanto. R. ha ventun’anni, gli ultimi due dei quali trascorsi nell’Accademia per allievi ufficiali dei Carabinieri. Per un breve periodo ha seguito un corso qui dalle mie parti e la domenica poteva uscire a prendere un gelato con me, era tanto che non ci vedevamo, che non ci raccontavamo le nostre vite.

R. è una tipa sveglia, determinata, ma anche riflessiva, un po’ timida. Non sapevo che, quando eravamo lì a sviscerarci al campo, stesse già pensando alla divisa. Mi ha colto completamente di sorpresa saperlo. “Mi devi raccontare tutto!” Non c’era molto da raccontare, quando ha capito quel che voleva fare lo ha fatto. Poi ovviamente non tutto è come te lo aspetti. I primi tempi sono difficili, va bene, ma poi c’è anche un altro aspetto, quella sottile disillusione, che non ha niente a che fare con la durezza dell’addestramento, o con la difficoltà dei libri di diritto che forse fuori dall’accademia non avresti mai scelto, no, è un’altra cosa, è quando credi che in posto ci siano delle regole vere, era quello che cercavi, la meritocrazia, l’impegno onesto e intelligente, la soddisfazione che segue al duro lavoro, il contenuto che prevale sulla forma, il rispetto alla fin fine, e invece no, anche lì dove dovresti trovarlo, anche lì dove dovrebbero dare l’esempio, almeno lì le cose dovrebbero funzionare in un certo modo, se non altro per coerenza, o per decenza, anche lì ti spengono a poco a poco ogni motivazione, anche lì non era proprio come te lo aspettavi, come te lo descrivevano, come dovrebbe essere.
Questo ci dicevamo in quei giorni. Ma R. è un tipo determinato. Mi ha raccontato di aver superato un sacco di prove, fisiche, mentali, di nervi. Ha studiato e continua a farlo. Si è perfino buttata da un elicottero col paracadute. E ha solo ventun’anni.
R. ha il suo futuro già chiaro. Sa con precisione dove sarà per i prossimi tre anni, e più o meno cosa le succederà nei successivi dieci. Sa cosa vuole.

Io non so nemmeno cosa farò tra pochi mesi, e a ventidue anni suonati ho solo vaghe e incerte idee di cosa voglio diventate. So bene quello che non voglio diventare, e già è tanto. Pensando a R. mi sono sentita completamente in mare aperto: instabile, incapace. Inetta. Una vertigine di consapevolezza che mi ha colto di sorpresa. Non ero preparata.