Non sono pronta per la primavera

È marzo, ma io non me ne sono accorta. Si fa un gran parlare di primavera, di giornate che si allungano, di aria più tiepida e della bella stagione che si avvicina. Ed io mi guardo intorno e in effetti sì, le giornate sono più calde, ci sono le pratoline che fioriscono e la primavera che arriva, è così. Ora me ne accorgo.

Ma il punto è che non voglio. Non sono pronta per la primavera. Non sono pronta per le foglioline verdi, per le gonne leggere e le scarpe aperte, per l’aria tiepida anche la sera, quando il tramonto colora tutto. Non sono pronta per le uscite in compagnia,  i profumi improvvisi di fiori per la strada, la spensieratezza, le risate.

Mi guardo intorno e penso no, aspetta, ma che fine ha fatto l’inverno? Non è possibile che sia già finito, che sia già finito il tempo. Io voglio il freddo, il vento che si insinua nelle fessure delle case e dei corpi, il piumone che fa da barriera fra me e il mondo, la cioccolata nera come la notte fuori, il fuoco come unica luce della stanza, la neve che ferma voci, vite e tempo.

Come si ferma tutto? Non sono pronta per le rinascite, per le ripartenze, per la leggerezza, non adesso, non posso. Sto lottando con me stessa e non ho energia per niente altro.

Qualcuno fermi il tempo, non sono pronta.

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I capelli bianchi che ho contato oggi sulla mia testa. Sicuramente sono di più, ma quattordici sono quelli che ho visto.

Mia madre dice che è normale, che anche lei alla mia età eccetera. Io ancora mi chiedo perché i suoi geni si siano tradotti in me in cose come questa, e non abbiano avuto invece il buon gusto di dotarmi, che so, del suo fondoschiena o delle sue gambe, ché mia madre c’avrà cinquant’anni ma con una minigonna fa ancora la sua porca figura, una di quelle che io non farò mai.

Comunque, era per ritornare a quella faccenda del crescere e dell’invecchiare e tutto il resto. Perché mi ha lasciata un po’ interdetta vedere questi fili bianchi tra i miei ricci proprio in questi giorni, pare quasi si siano messi d’accordo. Anzi, ne sono convinta: lo hanno fatto apposta.

Ronald

Voi sembrate sempre così giovani, in Italia. A settant’anni sembra che ne abbiate cinquanta. Io ho trentaquattro anni e me ne sento cinquanta. Voi non invecchiate. Tu, anche tu, hai una faccia da bambina… una baby face.

Ronald, 34 anni, Uganda.

Doveva venire dall’Africa una delle poche persone che, anziché darmi più anni, me ne toglie. Fino a dirmi che ho un viso da bimba, troppa grazia.

Ma a quanto pare li toglie un po’ a tutti, qui. Al suo Paese, dice, gli anziani si vede, che sono anziani. Qua, no. Qua non sa mai bene che età dare alle persone che incontra. E dire che lo spirito d’osservazione non gli manca.

Lui si sente vecchio, sente di avere già vissuto tanta vita, dice. Eppure a guardarlo sembra, lui sì, un bambino. Per come guarda (da sotto in su), per come ti ascolta, per come si muove, per come ride – gli piace scherzare, quando può ti prende in giro e poi guarda l’effetto che fa. E quando ti saluta non si limita a sfiorarti come facciamo noi, ma ti abbraccia, e dice che ti vuole benissimo. Gli piace la musica, che sia suonata con uno strumento o con la voce non importa. Gli piace mangiare, e se gli dici che il pranzo è a base di salsicce o che gli hai preparato i biscotti all’anice (che non aveva mai assaggiato prima) sorride contento – come un bambino, appunto.

Eppure, a un certo punto sei lì e lo guardi. Guardi la sua postura, l’espressione delle labbra e soprattutto i suoi occhi, che ti osservano (da sotto in su) e hai l’impressione, netta ma stranamente non sorprendente, che la persona che hai davanti sia molto più profonda e saggia di quanto credevi. Di quanto avresti creduto.

A ben vedere, a un certo punto sembra incredibilmente vecchio.

Ma poi, ecco, succede che sorride… e torna il bambino.

(Il mio paesello è stato un po’ internescional, negli ultimi mesi. A quanto pare il mondo mi viene a cercare a casa.)