Il resto della vita

Nel 2014 avrai la forza di sfuggire a una frustrazione che ti logora e ti addolora da molto tempo. Potrai spezzare per sempre l’influenza che ha su di te. Nei prossimi mesi avrai anche la possibilità di attivare e coltivare un amore che durerà per sempre. Anche se non sboccerà da un giorno all’altro, questo progetto rivelerà in modo inconfondibile la sua capacità di resistere nel tempo. E tu sarai in grado di trovare la fiducia necessaria per dedicarti a esso fino a quando non darà i suoi frutti.

Fuochi d’artificio su San Pietro e lanterne cinesi in ogni porzione d’orizzonte. Lo scorcio di una bella casa dalle finestre nel palazzo di fronte, con le luci spente ma le candele accese, i divani bianchi, i colori soffusi dell’albero addobbato. Però non mi ci vedo tanto, a vivere in una casa così. Fin troppo bella. 

Non fa tanto freddo, ho messo la gonna ma mi abituo presto. Poi adesso stiamo fermi, ma dopo usciamo e camminiamo. Intanto auguri, ce lo diamo un bacio? La prima persona che bacio dopo la mezzanotte è una donna, ma è una gran donna.

Ho mangiato troppo, mi fa male la pancia. La cosa più buona sono state le tartine al burro e salmone che ho mangiato con lui, prima che andasse al lavoro. Tanto lo sappiamo che non mangerai niente stasera – però le lenticchie della nonna le teniamo per domani. Sono uscita prima di lui perché dovevo attraversare Roma per andare dalla gran donna a cena, vino e spumante al seguito. Io già vestita, e già in ritardo, lui ancora in tuta e pensieri in testa, insieme in cucina a mangiare tartine fatte sul momento e bere caffè, guardandosi negli occhi. Poi un bacio rosso di rossetto.

Camminare su Via della Conciliazione alle due del mattino è strano, c’è molta pace. Non aspetto che lui, ma Roma richiede pazienza. A casa alle cinque, e mentre fuori è quasi mattina dentro c’è una candela bianca e lo spumante secco secco.

Il silenzio. Il pranzo di capodanno il pomeriggio alle sei. Una chiesa non molto grande, calda, ci quelle antiche ma ricche, con marmi scuri e stucchi dorati, persone che vanno e vengono perché siamo in centro, ma durante la cerimonia incredibilmente non c’è confusione.

Fuori è notte, c’è Via del Corso, la gente che mangia per strada nei vicoli vicino al Pantheon, le luci, andiamo a Piazza Navona a vedere le bancarelle? Fermarsi a guardare incantati una giostra costruita due secoli fa, è proprio bella. Tornare a casa quando sentiamo troppo freddo anche se stiamo abbracciati, tra il profumo di zucchero filato.

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Harry ti presento Sally è il film che va visto a capodanno, e chi ce l’ha presente sa perché. Se è uno dei tuoi film preferiti lo voglio vedere. I miei “ah, questa scena è troppo bella, guarda eh” e i suoi “no, questa non l’ho capita, me la spieghi?”. Scoprire dei risvolti mai considerati prima, semplicemente perché lo guardo con lui, che ha un punto di vista che mi meraviglia sempre. Canticchiare chiama, anche se è tardi tu… chiama…. insieme al protagonista, come al solito. E poi sentirsi dire tu somigli a Sally… ti chiamerò Sally (che, ecco, sì, è l’uomo della mia vita, è evidente.)

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Arresto cardiaco

Sono in arresto cardiaco

In perenne arresto cardiaco

Sto lì, in attesa di soccorso

Poi qualcuno mi vede là stesa

Si avvicina, mi guarda

E defribilla

Mi pompa il sangue nel corpo, mi infila a forza aria nei polmoni

Mi ri-anima

E il cuore riprende a battere

Ancora un po’, ancora un po’

Prima rapido, forte

Poi rallenta, rallenta ancora

Si inceppa, inciampa

I battiti si incastrano, tremano

E io torno a cadere

E il cuore si spaventa, si blocca

E il respiro si mozza, si raggela

E io sono in arresto cardiaco

Torno all’arresto cardiaco

Stesa, il respiro corto

Vivo in arresto cardiaco

In attesa del giorno in cui

tornerà qualcuno

a ri-animarmi

Finché il mio cuore non avrà imparato a battere da solo.

“Più poesia del solito” (cit.)

Ahaahaahaahahahaaahahahhahhaa!

[Attenzione: il seguente oroscopo contiene più poesia del solito]. Gioiosa agitazione! Sorprendente liberazione! Prevedo che saprai smascherare gli inganni, e poi troverai il modo di uscire dal labirinto. Lucida irrazionalità! Visioni immortali! Prevedo che scoprirai un segreto che finora hai nascosto a te stesso, e poi ti libererai di un dilemma che non devi più risolvere. Misteriose benedizioni in arrivo dalle frontiere! Nuova fertilità generata da un sogno rinato! Prevedo che comincerai a sistemare un nuovo punto di forza per il futuro.

Mi faccio quattro risate? Sì, ma non strozzate e ciniche e doloranti, anzi, tutto il contrario. Se dovesse essere, che roba!  Qui c’è un gran pensare e riflettere e sentire, soprattutto, sentire e ascoltare con i sensi senza nome dello stomaco, del cuore, di quel che è. Per cui, se poi ce la facessi davvero a liberarmi e liberare qualche segreto, se mi accadesse di smascherare gli inganni -e quindi di smascherarmi -, se dovessi riuscire ad uscire dal labirinto, e se poi  – rivelazione! – dovessi anche far risorgere qualche sogno, insomma, lo sai, Rob, che stai molto sul pezzo?

E quindi, rido.

(Lucidamente, irrazionalmente, “come piace a noi” – cit. Marzullo, sarai fiero di me.)

Sull’amore


«Noi pensiamo che la cosa più difficile sia amare, ma non è così: la cosa più difficile è lasciarsi amare


E con questo vi faccio i miei ritardatari auguri di Buona Pasqua. Li faccio anche se ormai è passata perché credo fortemente che questa festa sia uno stato mentale e spirituale duraturo, se si riesce a farlo durare. Se si riesce ad imparare.
E il concetto espresso da quella frase, che mi è stata detta la notte tra sabato e domenica, io spero proprio di impararlo davvero.

Per un pezzo di carta – parte seconda

C’era una volta una tizia che aveva iniziato a parlare della sua tesi, riuscendo nell’impresa di scrivere un intero post senza far capire nulla dell’argomento. Ecco, ora che la cosa è praticamente fatta e la data fatidica si avvicina, la tizia viene finalmente al punto.

Dunque, la mia tesi è in Filologia, ma non esattamente di quella filologia di cui vi ho parlato; di un altro tipo. Sì, ne esistono diversi tipi, tanti quanti sono i tipi di testi, potremmo dire.

Ad esempio, ci sono casi in cui non esistono tanti manoscritti ma uno solo, e si può lavorare solo su quello; oppure può capitare di avere l’opera ma non l’autore, e bisogna pur attribuirla a qualcuno; oppure si ha il testo fatto e finito ma si scoprono le “brutte copie” dell’autore e tutti giù a ficcare il naso negli appunti del tizio o della tizia (ma in letteratura italiana ci sono più tizi che tizie, è questa la triste verità) per vedere come lavorava, per osservare la sua officina segreta  – la cosiddetta “critica degli scartafacci”. Insomma, ce n’è di cose da fare.

C’è poi il caso in cui l’autore aveva cominciato a scrivere una cosa e poi per un motivo o per un altro (per esempio, è morto), non l’ha finito. E qui sorge il dilemma: che ne facciamo del manoscritto? Perché sicuramente l’autore non vorrebbe che venisse pubblicato, così, senza revisione, magari con delle parti mancanti; però a noi piacerebbe leggerlo lo stesso, forse addirittura ne abbiamo quasi il diritto, perché un’opera non può rimanere nascosta, non può morire così: deve vivere, e per farlo ha bisogno di qualcuno che la legga. A volte però non è mai stata nemmeno concepita per essere letta da altri; parliamo di lettere, diari personali, appunti privati, liste della spesa, insomma: cosa fare in questi casi? Pubblicare o non pubblicare? E, nel caso, come?

Questo è il dilemma da cui sono partita io: come lavora il filologo su un testo non-finito, non autorizzato dall’autore e magari pure privato? Ed ecco lì l’esempio più autorevole della storia della letteratura italiana: lo Zibaldone di Leopardi. Lo Zibaldone non solo non era destinato alla pubblicazione, non solo era di carattere privato, ma ha delle caratteristiche tutte sue. Diciamocelo: non sappiamo cosa sia. Non è un diario privato, o almeno non come ce lo immaginiamo; non è un quaderno di appunti, o almeno non solo; non è la brutta copia di altre opere, o almeno non esattamente; insomma, non è niente di quello che potrebbe venirci in mente, e allo stesso tempo è tutto questo. È un insieme di 4526 pagine, scritte nell’arco di quindici anni, su cui è scritto di tutto, dagli abbozzi poetici agli aforismi, dalle dissertazioni di carattere linguistico e filologico ai ricordi autobiografici, dalle riflessioni filosofiche alle notazioni di costume, tutto quel che interessava Leopardi ha una traccia tra queste pagine, scritto senza un ordine apparente, privo di una se pur minima sequenzialità nella maggior parte delle volte. Per di più è evidente che Leopardi rileggeva quel che scriveva e pensava anche di servirsene un giorno, perché ovunque vi sono richiami ad altre pagine in cui si parla dello stesso argomento, magari ripreso a distanza di mesi o anni, e a sua volta quelle pagine hanno altri rinvii, e altri riferimenti, e si crea una rete di percorsi trasversali davvero labirintica. Insomma lo Zibaldone è un iper-libro, perché contiene tanti libri, e quindi di fatto è un non-libro.

Ora, posta la nient’affatto scontata decisione di pubblicare un’opera del genere: come fare? È un’impresa: bisogna innanzitutto decifrare bene la scrittura di Leopardi, e per fortuna che è piuttosto chiara; bisogna cercare di far capire al lettore che lì c’era una cancellatura, che prima Leopardi ha scritto così e poi invece così, perché questa informazione, apparentemente inutile, potrebbe dirci cose fondamentali sul pensiero dell’autore. Bisogna individuare a che pagina di riferisce quando scrive “in un altro momento ho detto così”, perché mica lo specifica sempre; e poi bisogna risalire alla data in cui ha scritto una determinata cosa, perché magari si trova su una pagina in cui è scritto, chessò, 1821 e invece poi scopriamo che la frase è stata aggiunta due anni dopo, e non è mica la stessa cosa. E poi il curatore ci farebbe un grande favore se per esempio individuasse da che libro è presa quella citazione che fa Leopardi, a che poesia si riferisce quell’appunto, cosa c’è scritto in quella pagina tutta in latino o in greco che io lettore comune non capisco. Ecco, questo lo fa un’edizione critica, cioè un’edizione che ha un apparato in cui il filologo ti dice “guarda che qua c’è una cancellatura e qua un lapsus” eccetera –  e di solito ai lettori comuni non capita di sfogliarne; quella che ho studiato io è agile e comprensibile, ma ce ne sono alcune davvero criptiche, che usano simboli e abbreviazioni sconosciute.

In sintesi, ho fatto questo: ho preso l’edizione fotografica dello Zibaldone (dieci volumi di foto del manoscritto originale pagina per pagina, ovviamente non l’ho sfogliata tutta, altrimenti non sarei qui a raccontarvelo), ho selezionato alcune pagine e le ho confrontate con l’edizione critica più autorevole che abbiamo, che è quella curata da Giuseppe Pacella: un vero eroe, se vogliamo, dato che ha dedicato più di trent’anni della propria vita a questa impresa, per di più snobbato e criticato perché non era un accademico ma un “semplice” insegnante. Insomma, mi sono messa a vedere come fa il filologo a risolvere tutti questi problemi, cosa registra in apparato e cosa spiega nelle note. Poi andando avanti mi sono accorta anche di un’altra serie di problemi più generali (e ho infilato anche loro nella tesi), tipo se è mai esistita una brutta copia, o perché Leopardi inizia a datare i pensieri solo da un certo punto in poi, e a cosa gli servivano gli indici – ebbene sì, ha anche stilato degli indici dello Zibaldone -, se esiste una progettualità nascosta in un’opera che sembra così frammentaria, se è meglio l’edizione fotografica o quella critica (la seconda, of course), e c’è anche un accenno all’edizione in CD-Rom. Per questo qualche post fa parlavo di Giacomo 2.0: c’è anche un’edizione Zanichelli in CD-Rom che, oltre ad essere stata una manosanta per la mia tesi permettendomi di non dover bivaccare nelle biblioteche di Roma, rappresenta un modo nuovo e facile di consultare un’opera così complessa e quasi, potremmo dire, ipertestuale.

Ecco, questa è la mia tesi: Problemi filologici dell’edizione dello Zibaldone leopardiano.

E la devo discutere tra una decina di giorni (brrr).